Assegnazione delle responsabilità tra medici nel caso di regresso ex art. 2055 c. 3 c.c.

Cass. sez. III, ord. 14/12/2024 n. 32.556, rel. Vincenti:

fatto:

<<Come già evidenziato (cfr. Par. 4.1.2, che precede), la Corte territoriale, dopo aver attribuito alla ASPT – in difetto di condotta inescusabilmente grave dei medici dei quali si è avvalsa per rendere la prestazione sanitaria – la responsabilità per il danno cagionato alla paziente nella misura del 50% (in coerenza con l’orientamento di questa Corte: tra le altre, Cass. n. 28987/2019, Cass. n. 29001/2021 e Cass. n. 28642/2024), ha ripartito la restante quota del 50% nei rapporti interni tra i tre medici (Sa.Sa., Ca.An. e Cr.Ro.) – stante la richiesta di graduazione delle colpe proveniente non solo dal Ca.An. (il cui gravame è stato dichiarato inammissibile), ma anche dal Sa.Sa. (come evidenziato al Par. 4.1.3., che precede) – “in misura egualitaria ed in pari grado” e ciò “in difetto di prova di una diversa efficacia causale delle singole condotte”.

diritto:

<<Varrà al riguardo osservare che, qualora il danno da fatto illecito sia imputabile a più persone, il giudice può fare ricorso alla presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all’ultimo comma dell’art. 2055 c.c. solo in presenza di una situazione di dubbio oggettivo e reale, configurabile quando non sia possibile valutare neppure approssimativamente la misura delle singole responsabilità e, quindi, difettino indicazioni specifiche che siano in grado di orientare verso il riconoscimento del maggiore apporto causale di una o più condotte colpose (tra le altre, Cass. n. 6400/1990; Cass. n. 23581/2010; Cass. n. 31066/2019; Cass. n. 14378/ 2023).

La doglianza di parte ricorrente coglie nel segno là dove si duole, nella sostanza, dell’assoluto difetto di motivazione circa gli elementi che avrebbero convinto il giudice di appello a ritenere la misura paritaria delle colpe dei tre medici, senza tenere conto, dunque, delle indicazioni emergenti dalle risultanze agli atti (in particolare, la espletata CTU medico-legale e la cartella clinica) e ciò proprio in rapporto a quanto lo stesso giudice ha avuto modo di rilevare (anche richiamando l’accertamento definitivo scaturente dalla sentenza del Tribunale quanto alla posizione del Sa.Sa. e del Ca.An.) e argomentare, ai fini dell’affermazione della responsabilità, in ordine all’apporto di ciascun sanitario rispetto al danno patito dalla paziente, ossia alla “condotta colposa dei sanitari dell’Ospedale di S nel corso del parto e dei successivi interventi di riparazione della lacerazione perineale prodottasi a seguito del parto stesso (p. 4 della sentenza di appello) e, dunque, rispetto ad una sequenza di comportamenti in tempi e contesti diversi e secondo ruoli distinti.