Cass. sez. I, 14/06/2024 n. 16.607, rel. Fidanzia:
<<La Corte d’Appello ha ritenuto che, alla stregua dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6070/2013, dovrebbe presumersi che la società correntista, con la cancellazione dal registro delle Imprese, abbia inteso rinunciare al credito vantato nei confronti della banca, con conseguente intrasmissibilità del medesimo ai soci.
Questo Collegio non condivide una tale impostazione giuridica.
Va osservato che questa Corte, nella sentenza n. 9464/2020 (conf. Cass. n. 28439/2020), proprio in un’analoga fattispecie in cui era stata proposta una domanda di ripetizione di indebito bancario, ha enunciato il principio – cui questo Collegio intende dare continuità – secondo cui l’estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare.
La predetta pronuncia, nel suo articolato (e pienamente condivisibile) percorso argomentativo, dopo essersi diffusamente soffermata sull’istituto della remissione di debito, a norma dell’art. 1236 cod. civ., evidenziandone i caratteri della univocità e concludenza, da valutare con particolare rigore e cautela, ha osservato che tali requisiti devono essere riscontrati nel comportamento della società nel momento in cui essa si cancella dal registro delle imprese, e ciò al fine di individuarvi anche la rinuncia in ordine ai diritti di credito ancora non esatti o non liquidati, con la conseguenza che, ove difettino indici univoci sulla volontà remissoria, deve essere esclusa la volontà di remissione del debito.
Né ad una diversa conclusione si può pervenire per effetto delle decisioni delle Sezioni unite (Cass. nn. 6070 – 6072 del 2013), le quali avevano, piuttosto, evidenziato che la remissione del debito per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese fosse una delle varie evenienze solo “possibili”. Pertanto, in presenza di una domanda della cancellazione della società dal registro delle imprese, non è sufficiente – pena il ritenere ingiustificatamente sempre estinto il credito in tali evenienze, sulla base di una presunzione assoluta priva dei caratteri ex art. 2729 c.c. – che la cancellazione sia domandata ed eseguita.
La predetta sentenza n. 9464/2020 ha, infine, evidenziato che “..All’opposto, la mancata dichiarazione del difensore, ai sensi dell’art. 300 c.p.c. ai fini della interruzione del processo e la prosecuzione del medesimo, pur dopo l’avvenuta cancellazione della società costituisce un elemento in senso contrario rispetto ad un’ipotizzata volontà abdicativa: essendo ragionevolmente presumibile, piuttosto, in generale che il difensore, mandatario della società, avesse in tal senso concordato con la stessa la linea difensiva da tenere, anche nell’interesse dei soci, il cui sostrato personale riemerge proprio nel momento della cancellazione del soggetto collettivo. Il relativo accertamento, concretandosi in un giudizio di fatto, sfugge al sindacato di legittimità; ma costituisce giudizio di diritto escludere che la mera cancellazione dal registro delle imprese possa, di per sé sola, per la sua invincibile equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne una volontà abdicativa”.
Orbene, anche questo Collegio è concorde nell’escludere che la mera cancellazione di una società dal registro delle imprese possa, di per sé sola, per la sua evidente equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne la remissione del credito fatto valere in giudizio, la quale deve essere, invece, allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione dichiarazione ad uno specifico creditore (Cass. n. 30075/2020).
Ne consegue che, in difetto di altri indici univoci sulla volontà remissoria – nel caso di specie, non accertati dalla sentenza impugnata, né comunque evidenziati dalla banca ricorrente – può ragionevolmente ritenersi che sia avvenuta, per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese, un trasferimento dei diritti di quest’ultima ai soci>>.
Affermazione ineccepibile, anche se tutto sommato scontata.