ll medico convenzionato col SSN, che interviene su un turista fuori sede, non perde la qualità di medico convenzionato, sicchpè del suo operato risponde l’ASL ex art. 1228 cc

Cass. sez. III, 04/03/2025 n. 5.673, rel. Rubino:

Premessa generale:

<<Va premesso che è principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la ASL è responsabile, ai sensi dell’art. 1228 c.c., del fatto colposo del medico di base, convenzionato con il SSN, essendo tenuta per legge – nei limiti dei livelli essenziali di assistenza – ad erogare l’assistenza medica generica e la relativa prestazione di cura, avvalendosi di personale medico alle proprie dipendenze o in rapporto di convenzionamento (Cass. n. 14846 2024, Cass. n. 6243 2015).

L’affermazione si fonda sulla norma fondamentale di cui all’art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978 (“l’assistenza medicogenerica e pediatrica è prestata dal personale dipendente o convenzionato del servizio sanitario nazionale operante nelle unità sanitarie locali o nel comune di residenza del cittadino”).

Il soggetto pubblico, per l’adempimento dell’obbligazione di fornire l’assistenza medico-generica cui per legge è obbligato, si vale dell’opera del terzo, cioè di un esercente la professione sanitaria il quale non è dipendente del soggetto obbligato, ma costituisce personale “convenzionato” (in alternativa a quello “dipendente”, secondo l’indicazione fornita dall’art. 25, comma 3, legge n. 833 del 1978).

Trattasi, come precisa Cass. n. 14846 del 2024, di una fattispecie di responsabilità, identificata in sede interpretativa dalla giurisprudenza, che è stata poi recepita dal legislatore con l’art. 7 legge n. 24 del 2017 (“1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina”), secondo una linea di continuità fra l’interpretazione giurisprudenziale dell’ordinamento ed il successivo intervento legislativo, quale argomento ex post a sostegno della detta interpretazione (il primo comma del citato articolo 7 stabilisce chiaramente la correlazione fra la collocazione lavorativa dell’esercente ed il titolo di responsabilità per il dipendente vale l’art. 1218, per il non dipendente l’art. 1228).

Trattasi quindi di una ipotesi di responsabilità diretta della ASL, per fatto del proprio ausiliario>>.

Andando alla fattispecie de qua:

<<La peculiarità della fattispecie in esame è che il comportamento del medico denunciato come fonti di danni per la paziente non è stato tenuto dal medico di base della defunta signora Mo..   Sono queste le ipotesi che, finora, hanno condotto alla affermazione della responsabilità della ASL nei termini predetti, in cui cioè il rapporto tra paziente che fruisce del SSN e medico convenzionato, è un rapporto di durata che si instaura a mezzo della libera scelta del proprio medico di base, effettuata dall’utente iscritto al S.S.N. in un novero di medici già selezionati nell’accesso al rapporto di convenzionamento e in un ambito territoriale delimitato, rapporto inquadrato nell’ambito dei rapporti di lavoro autonomo “parasubordinati”.

Nel caso di specie, invece, il dottor Ch.Se. non era il medico di base della defunta signora Mo., che si trovava, ospite di una struttura alberghiera, a centinaia di chilometri dal suo luogo di residenza.

L’inquadrabilità del rapporto svolto nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, e di conseguenza la configurabilità anche in questo caso di una responsabilità, diretta, della struttura sanitaria per il fatto del medico convenzionato suo ausiliario ha un suo autonomo fondamento normativo, che si rinviene nel quarto comma dell’art. 19 della legge n. 833 del 1978, che prevede “Gli utenti hanno diritto di accedere, per motivate ragioni o in casi di urgenza o di temporanea dimora in luogo diverso da quello abituale, ai servizi di assistenza di qualsiasi unità sanitaria locale.”

Come poi previsto dagli Accordi Collettivi nazionali di categoria, il medico convenzionato non è obbligato a prestare la propria opera in regime di assistenza diretta ai cittadini non residenti (che non siano suoi assistiti), ma se accetta di prestarla, in favore appunto dei cittadini che si trovino eccezionalmente al di fuori del proprio Comune di residenza, eroga una prestazione che si inquadra nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, per la quale peraltro può ricevere anche un compenso, tariffato dall’accordo collettivo e in relazione alla quale la Ausl è responsabile per l’attività svolta dal medico, che si inquadra nell’ambito delle prestazioni del SSN erogate da medico con esso convenzionato in favore dei pazienti.

Tutto ciò premesso, e ritenuto che emergesse pacificamente che la signora Mo. si trovava ospite della struttura alberghiera per un soggiorno turistico e termale, che la stessa ebbe un malore, che fu chiamato un medico convenzionato con la ASL che visitò in due diverse occasioni la paziente prescrivendo una terapia, cioè l’astratta riconducibilità della situazione all’ipotesi di cui all’art. 19, quarto comma della legge n. 833 del 1978, cui consegue come in tutti i casi di prestazione erogata dal medico del Servizio Sanitario nazionale con conseguente instaurazione di un contatto sociale tra medico e paziente la responsabilità della ASL ex art. 1228 c.c., deve ritenersi che incombesse sulla ASL provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, ovvero che il medico intervenne non quale medico convenzionato ma puramente come libero professionista, del quale l’albergo intendeva avvalersi a favore della ospite che ne aveva necessità. Non può invece ritenersi che gravi sulla paziente – o sui suoi congiunti, come in questo caso – provare che non esistessero elementi atti a dimostrare che la prestazione erogata, riconducibile in una prestazione sanitaria a carico del Servizio sanitario nazionale non fosse stata invece resa ad altro titolo>>.