Il concorso in contraffazione di chi tiene in deposito (ed eventualmente spedisce) merci contraffatte per conto terzi (sulla posizione di Amazon Logistics)

Pende presso la Corte di Giustizia una causa relativa alla posizione di Amazon per lo stoccaggio e l’eventuale invio di merci per conto di un venditore, qualora si tratti di merci contraffatte: Coty Germany GmbH contro Amazon Services Europe Sàrl, Amazon FC Graben GmbH, Amazon Europe Core Sàrl, Amazon EU Sàrl, C-567/18.

Sono state pubblicate le conclusioni 28.11.2019 dell’avvocato generale M. CAMPOS SÁNCHEZ-BORDONA  (di seguito solo : AG) , delle quali mi occupo in questo post.    Si tratta di causa importante, quanto alle questioni trattate.

Coty, già protagonista di un’altra vertenza in tema di divieto di avvalersi di piattaforme elettroniche (amazon.de) nella distribuzione selettiva (Coty Germany GmbH c. Parfümerie Akzente GmbH, Corte di Giustizia 6 dicembre 2017, C-230/16), ha poi iniziato una lite in Germania, chiedendo ad Amazon il nome del venditore da cui provenivano i prodotti contraffatti. Amazon ha risposto che non sarebbe stato possibile risalire a tale impresa, § 12 (non è chiaro se per scelta o per impossibilità di recupero dei dati: verosimilmente si trattava della prima alternativa)

Coty allora ha proposto domanda di inibitoria contro Amazon, ritenendo che violasse il diritto di marchio : in particolare proponendo domanda di inibitoria dello stoccaggio o spedizione dei profumi marcati Davidoff hot water, § 13.

Il processo è arrivato al Bundesgerichtshof, il quale, pur ritenendo che non vi fosse contraffazione addebitabile ad Amazon (§ 18), ha ugualmente proposto la seguente domanda pregiudiziale: «Se una persona che immagazzina prodotti lesivi dei diritti di un marchio per conto di un terzo, senza aver conoscenza della violazione, effettui lo stoccaggio di tali prodotti ai fini dell’offerta o dell’immissione in commercio, nel caso in cui solo il terzo, e non anche la persona stessa, intenda offrire o immettere in commercio detti prodotti».

La normativa applicabile è quella del regolamento 207 del 2009, poi sostituito dal reg. 2017 n° 1001. Il giudice del rinvio ragiona su entrambi , ma sottolinea che deve applicarsi quello ora in vigore (2017/1001), forse perché la misura richiesta è processuale (riporta infatti l’AG: <<, data la natura dell’azione proposta>>: § 4): affermazione però di dubbia esattezza, poiché è dubbio che sia processuale l’inibitoria, essendo una delle misure a tutela del diritto.  Tuttavia si dice ivi che non ci sono state modifiche significative tra le due normative.

Ragionerò quindi sul regolamento del 2017 n. 1001-

Le  norme rilevanti sono:

– l’articolo 9 comma 2, che indica quando c’è contraffazione : <<Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando: ...>>;

– l’articolo 9 comma 3, che precisa alcune fattispecie rientranti nel comma 2, e in particolare la lettera B : <<Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2: …b) l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;>>

L’AG nei §§ 33-43 esamina precedenti sentenze in tema di uso del segno di terzi da parte dell’intermediario e soprattutto la sentenza L’Oréal ed altri c. eBay 12.07.2011,  C‑324/09.

Ai §§ 41 e 42 propone una duplice alternative interpretativa, a seconda che si dia un’accezione ristretta o lata ai servizi offerti da Amazon (impostazione già presente i paragrafi 22 e 27) (impostazione importante visto che percorre tutte le sue Conclusioni)

Passa poi ad indicare i requisiti per aversi la fattispecie di “stoccaggio ai fini dell’immissione in commercio”, di cui all’articolo 9 c. 3 lettera b) (§ 44 ss); anche lo stoccaggio, del resto, rileva solo se finalizzato alla  immissione in commercio, come si ricava pianamente dal dettato della norma (§ 47).

L’ AG  conclude dunque che sono due le condizioni per  per ravvisare la ricorrenza di tale fattispecie: 1) un elemento materiale e 2) un elemento intenzionale (cioè la volontà di possesso ai fini dell’immissione in commercio) (§ 48).

POSSESSO – circa il possesso l’AG dice che, se si intende in senso stretto il servizio di Amazon Logistics, probabilmente non ricorre

Tuttavia  la valutazione potrebbe essere diversa, <<se si adottasse l’approccio alternativo ai fatti al quale ho fatto riferimento in precedenza. In tale ottica, la Amazon Services e la Amazon FC, che partecipano entrambe a un modello integrato di negozio, tengono un comportamento attivo nel processo di vendita, che è per l’appunto ciò che la norma esemplifica là dove elenca atti quali «l’offerta», «l’immissione in commercio» e «lo stoccaggio dei prodotti a tali fini». Corollario di siffatto comportamento attivo sarebbe l’apparente controllo assoluto del processo di vendita>> § 51.

In particolare l’AG ricorda la complessità del servizio offerto da Amazon Logistics:  <<con il programma «Logistica di Amazon» le imprese di tale gruppo, che agiscono in modo coordinato, non si occupano soltanto dello stoccaggio e del trasporto «neutri» dei prodotti, bensì di una gamma di attività molto più ampia.  Infatti, optando per detto programma, il venditore consegna ad Amazon i prodotti selezionati dal cliente e le imprese del gruppo Amazon li ricevono, li stoccano nei loro centri di distribuzione, li preparano (possono anche etichettarli, imballarli adeguatamente o confezionarli come regali) e li spediscono all’acquirente. Amazon può occuparsi anche della pubblicità (37) e della diffusione delle offerte sul proprio sito Internet. Inoltre, Amazon offre il servizio clienti per le richieste di informazioni e i resi e gestisce i rimborsi dei prodotti difettosi (38). Sempre Amazon riceve dal cliente il pagamento delle merci, trasferendolo poi al venditore sul suo conto bancario (39).      Tale coinvolgimento attivo e coordinato delle imprese del gruppo Amazon nella commercializzazione dei prodotti comporta l’assunzione di buona parte dei compiti del venditore, del quale Amazon svolge il «lavoro pesante», come evidenziato sul suo sito Internet. Su tale pagina si può leggere, quale incentivo al venditore per aderire al programma «Logistica di Amazon», la seguente frase: «Inviaci i tuoi prodotti e lascia che ci occupiamo del resto». In tali circostanze, le imprese del gruppo Amazon tengono «un comportamento attivo [ed esercitano] un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso [del marchio]»>> (§§ 55-57).

Se dunque nel caso di specie fosse confermato che le imprese del gruppo Amazon hanno prestato tali servizi (o quanto meno i più importanti) nell’ambito del programma «Logistica di Amazon», <<si potrebbe ritenere che, in qualità vuoi di gestori del mercato elettronico vuoi di depositari, esse svolgano funzioni nell’immissione in commercio del prodotto che vanno oltre la mera creazione delle condizioni tecniche per l’uso del segno. Di conseguenza, dinanzi a un prodotto lesivo dei diritti del titolare di un marchio, la reazione di quest’ultimo potrebbe legittimamente consistere nel vietare loro l’uso del segno>> § 58.

Nè del resto sono applicabili le esenzioni alla responsabilità previste dalla direttiva 2000/31  articolo 14 paragrafo 1, stante la non neutralità di Amazon (paragrafo 62).

Quest’ultima affermazione lascia perplessi per due motivi:

motivo 1 :  perché è assai dubbio che il servizio di stoccaggio fisico rientri nel concetto di <<servizi della società dell’informazione>>. Tale nozione secondo  l’art. 2 dir. 2000/31 è costituita dai <<servizi ai sensi dell’articolo 1, punto 2, della direttiva 98/34/CE, come modificata dalla direttiva 98/48/CE>>, la quale così recita:

<< “servizio”: qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

Ai fini della presente definizione si intende:

– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;

– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;

– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.

Nell’allegato V figura un elenco indicativo di servizi non contemplati da tale definizione.

La presente direttiva non si applica:

– ai servizi di radiodiffusione sonora,

– ai servizi di radiodiffusione televisiva di cui all’articolo 1, lettera a) della direttiva 89/552/CEE (*).>>

Ebbene, il servizio di stoccaggio e spedizione non è <<prestato (…) a distanza, per via elettronica>>!

Può essere invocata a conferma in tale senso Corte Giustizia 20.12.2017, C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi c. Uber Systems SpainSL. La C.G. ha detto che la mera intermediazione tra domanda ed offerta di servizi di trasporto rientra bensì nel concetto di «servizio della società dell’informazione» (§ 35). Però il servizio di Uber non è solo questo o meglio la sua intermediazione è così ampia che è essa stessa ad offrire sul mercato il servizio di trasporto (§§ 37-40): per cui complessivamente è questo il servizio offerto da Uber. Analoghe considerazioni valgono nel nostro caso: in Amazon Logistics lo stoccaggio e il deposito hanno importanza non minore della presenza sul marketplace digitale, come il software di Uber è la premessa per l’esecuzione poi del trasporto.

La Corte di Giustizia invece ha ragionato in modo opposto nel recente caso Airbnb (sentenza 19.12.2019, C-390/18). Qui ha ravvisato un «servizio della società dell’informazione» , dato che <<la raccolta delle offerte presentate in modo coordinato con l’aggiunta di strumenti per la ricerca, la localizzazione e il confronto di tali offerte costituisce, per la sua importanza, un servizio che non può essere considerato come un semplice accessorio di un servizio globale al quale vada applicata una qualifica giuridica diversa, ossia una prestazione di alloggio>> (§ 54 e in generale §§ 52-57)

motivo 2: perché la domanda azionata da Coty era di inibitoria e le inibitorie verso gli intermediari prescindono per opinione comunemente ricevuta dalle necessità di una loro corresponsabilità civile.

L’ELEMENTO INTENZIONALE  (il fine di offrire o immettere in commercio i prodotti stoccati o posseduti) – Nei §§§ 64 ss. , l’AG ricorda che già l’impostazione del giudice a quo escludeva la presenza dell’elemento del possesso o detenzione, dal momento che elemento soggettivo veniva ravvisato solamente in capo al terzo e non ad Amazon (§ 67). Anche qui però la l’AG dice che , aderendo ad un concetto più ampio di servizio offerto da Amazon, la conclusione potrebbe essere diversa:  <<anche in tal caso, però, la risposta potrebbe essere diversa qualora si adottasse un’interpretazione dei fatti che ponga l’accento sulla situazione specifica delle imprese di Amazon in quanto ampiamente implicate nella commercializzazione dei prodotti in questione, nell’ambito del programma «Logistica di Amazon» . In tale prospettiva, che supera ampiamente quella di un mero assistente neutro del venditore, è difficile negare che dette imprese intendano anch’esse, insieme al venditore, offrire o immettere in commercio i prodotti controversi.>> (§ 68-69).

LA RESPONSABILITà (RISARCITORIA, PARREBBE) – Circa la responsabilità infine, da intendere parrebbe come soggezione al rimedio del risarcimento del danno, l’AG offre alcune considerazioni alla lettera C), §§ 70 ss. Se tale mia interpretazione (riferimento al risarcimento del danno) è corretta, la pertinenza di quest’ultima parte delle conclusioni è dubbia: il rinvio pregiudiziale infatti si concentrava solo sul se ricorresse o meno il concetto normativo di stoccaggio, senza menzionare il rimedio risarcitorio (v. quesito al paragrafo 19). La violazione del diritto e la risarcibilità dell’eventuale , però, costituiscono due profili diversi.

L’AG ai §§ 71-75 ricorda alcune norme europee, che danno rilevanza all’elemento soggettivo. Egli ancora distingue le due configurazioni possibili del servizio di Amazon Logistics, distinguendo infatti in base al ruolo concretamente svolto dall’intermediario. L’AG concede che i meri depositari vadano esenti da responsabilità (§§ 79-80). Il panorama è invece diverso <<quando si tratta di imprese come le resistenti, che, fornendo i loro servizi nell’ambito del programma «Logistica di Amazon», partecipano all’immissione in commercio dei prodotti con le modalità precedentemente illustrate. Il giudice del rinvio afferma che tali imprese non erano a conoscenza del fatto che i prodotti violassero il diritto di marchio di cui era licenziataria la Coty Germany, ma ritengo che tale mancata conoscenza non le esima necessariamente da responsabilità. Il fatto che tali imprese siano fortemente coinvolte nella commercializzazione dei prodotti attraverso il suddetto programma implica che si possa richiedere loro una cura (diligenza) particolare quanto al controllo della liceità dei beni che immettono in commercio. Proprio perché sono consapevoli che, senza un tale controllo (52), potrebbero facilmente servire da tramite per la vendita di «prodotti illeciti, contraffatti, piratati, rubati o comunque illeciti o contrari all’etica, che ledono i diritti di proprietà di terzi» (53), esse non possono sottrarsi alla propria responsabilità semplicemente attribuendola in via esclusiva al venditore>>. ( § 81-82).

L’intera causa lascia perplessi dal momento che le condizioni per l’emissione delle  inibitorie (ciò che aveva chiesto Coty inizialmente in Germania) sono notoriamente lasciate ai diritti nazionali, come si ricava senza particolari difficoltà dall’articolo 11 dir. 48/2004, ultima parte. Per cui la ricerca di un elemento soggettivo per la sottoposizione ad inibitoria è probabilmente non pertinente. Del resto il giudice a quo aveva semplicemente chiesto se, secondo la normativa europea, la fattispecie integrasse o meno il concetto di <<stoccaggio>> dei prodotti contraffatti, senza alludere minimamente il profilo soggettivo (v. quesito al § 19).

Staremo a vedere la risposta della Corte su questi importanti -anzi apicali- aspetti  del diritto europeo della proprietà intellettuale