Cass. sez. I, Ord. 18.10.2024, n. 27.043, rel. Parise:

Regola astratta

<Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021 ; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023) [solo che con la convivenza di fatto non nasce alcun obbligo, nemmeno dopo la L. 76/2016!!!!]. Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729
c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729
c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023citata)>>.

Applicata al caso de quo:

<<2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (C.C. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui A.A. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del A.A., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la B.B. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 , n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo)>>.

Cass. sez. I, ord. 17/05/2024, (ud. 01/02/2024, dep. 17/05/2024), n.13739, rel. Meloni:

<<Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della l. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. 10133/2007; Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019).

Nel caso in esame la Corte di Appello sminuisce senza adeguata motivazione l’elemento costituito dalla convivenza della Bi.An. con il nuovo compagno, il Sig. Po.Fr., motivando tale conclusione sulla base della precedente sentenza della Corte di Appello 487/2021 ormai passata in giudicato, che aveva escluso, perché ritenuta non provata, la convivenza tra la Bi.An. ed il Po.Fr.; tale accertamento sarebbe stato coperto da giudicato in ordine al dedotto e deducibile e non più rivedibile nemmeno in base alla circostanza che la donna aveva trasferito la sua residenza in un appartamento datole in comodato gratuito dal Po.Fr. il quale a sua volta, pacificamente, risiede nella stessa via ed allo stesso numero civico ((…), Vicenza) seppure in interni diversi.

Tale assunto non è stato adeguatamente esaminato dal giudice di merito atteso che, in sede di revisione dell’assegno, il giudice di merito non poteva escludere a priori, in quanto già coperto da giudicato, la convivenza della Bi.An. con altro compagno ma doveva considerare ogni circostanza sopravvenuta allegata nel ricorso e particolarmente il dato particolarmente pregnante della residenza della Bi.An. allo stesso indirizzo del Po.Fr..

Questa Corte (Sez. 1 -, Ordinanza n. 14151 del 04/05/2022), infatti, ha affermato che “In tema di divorzio, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza more uxorio, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale”.

Del resto, in ordine all’attuale convivenza della Bi.An. con il Po.Fr. occorre considerare che la sentenza della Corte di Appello 487/2021, passata in giudicato, copre col giudicato il dedotto e deducibile e cioè ogni fatto e accertamento fino alla data della sua pronuncia e non può certo estendere la sua efficacia anche a quanto avvenuto successivamente. Pertanto, i giudici avrebbero dovuto valutare la circostanza della convivenza nello stesso immobile dei due indicati, aggiornando l’esame all’attualità, sulla base di fatti nuovi forniti dal ricorrente. Tanto più che pacificamente risulta acclarato che una nuova convivenza stabile more uxorio fa venir meno il diritto all’assegno di mantenimento, salvo che per la sua eventuale componente compensativa per la quale tuttavia occorre la prova rigorosa del contributo offerto alla comunione familiare ed all’eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative.

Sul punto le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr.32198 del 5/11/2021) hanno affermato “In tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. L’assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo”.

Ciò premesso nel caso concreto, posto che la revisione dell’assegno divorzile richiede la presenza di “giustificati motivi” e impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali, occorre anche considerare che nel caso in esame la Corte d’appello di Venezia, a fronte della riconosciuta riduzione del reddito del Ma.Gi. da 71.000,00 a 57.000,00 dovuta al pensionamento, ha ridotto solo di un modesto 10% l’assegno nonostante la presenza di tutti gli altri molteplici indici di variazioni reddittuali delle parti che non sono stati nemmeno considerati e cioè appunto la convivenza della Bi.An. con altro compagno; conclusioni della sentenza sulla divisione della comunione de residuo della sentenza della Corte d’Appello di Venezia; presunta attività lucrativa tratta dall’Associazione (…)>>.

Revisione dell’assegno divorzile (art. 9 l. div.)

Cass. sez. I, ord. 14/05/2024  n. 13.192, rel. Meloni:

fatto e diritto mescolati assieme:

<<Occorre premettere che con ricorso 12 ottobre 2017 il sig. De.Ma. chiedeva lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio e la revoca dell’assegno di mantenimento a favore della moglie per diversi motivi: una ulteriore contrazione dei suoi redditi a fronte del suo obbligo di mantenere in via esclusiva i figli, l’autonomia economica raggiunta dalla moglie, la possibilità per la stessa di trarre reddito dai suoi immobili e, ultimo, la insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per la concessione dell’assegno di divorzio. Nel prosieguo le parti raggiungevano un accordo su tutte le condizioni di divorzio e con successiva sentenza emessa in data 14.01.2019, pubblicata in data 25.01.2019, il Tribunale di Sondrio disponeva le condizioni di divorzio, in conformità agli accordi raggiunti dalle parti (doc. 6), tra cui, in particolare, i seguenti:

– l’affidamento condiviso del figlio Davide, all’epoca minorenne, con suo collocamento presso il padre, con possibilità per la madre di vederlo e tenerlo con sé in base alle esigenze e alle richieste del medesimo;

– l’obbligo per il padre di mantenere in via esclusiva i figli (anche El., nel frattempo diventata maggiorenne) con obbligo a suo carico di provvedere al 100% delle loro spese straordinarie, stabilendo però che ciascuno dei genitori provvederà al mantenimento ordinario dei figli quando si trovino presso di sé;

– l’obbligo per il sig. De.Ma. di versare alla signora Fr.Vi. un contributo di mantenimento pari a Euro 300,00 mensili.

Queste le condizioni che con il procedimento di revisione che è stato introdotto dal De.Ma.

Ciò premesso nel caso concreto, la censura risulta fondata. Infatti, posto che “La revisione dell’assegno divorzile richiede la presenza di “giustificati motivi” e impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali. Ove, pertanto, le ragioni invocate per la revisione siano tali da giustificare la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi (Cass. 354/2023)”.  Risulta non contestato il miglioramento patrimoniale della signora Fr.Vi. (che nel luglio 2019 aveva ereditato un appartamento in centro S appartenente alla categoria A/2 di mq 134 locato per Euro 450,00 e altri beni, tra cui un una ulteriore quota di proprietà degli antichi locali in cui è ubicato un noto ristorante della V, Il Ristorante “omissis”, per un valore complessivo di oltre Euro 500.000,00. A Riprova il ricorrente depositava il doc: 22) che certificava gli immobili di proprietà Fr.Vi. nell’anno 2017 e il doc. 23) che certificava immobili di proprietà Fr.Vi. successivamente al divorzio.

Nel caso in esame la Corte d’appello ha omesso di spiegare perché i mutamenti economico-patrimoniali intervenuti, pur ritenuti sussistenti, siano stati ritenuti irrilevanti tanto più in presenza di un mutamento in pejus delle condizioni economico reddituali dell’ex marito avvocato, non escluso dal giudice del merito.

Infatti la Corte ha ritenuto che: A parere della Corte quindi deve essere condivisa la valutazione effettuata dal Tribunale sia con riguardo all’assegno divorzile che con riguardo alla ripartizione delle spese straordinarie per i figli (80% a carico del reclamante e 20% a carico della reclamata) poiché, pur comparando le documentate sopravvenienze in peius per il De.Ma. – avvocato – ed in melius per la Fr.Vi. con le preesistenti condizioni economico-reddituali di entrambi all’epoca del divorzio, si rileva che comunque le descritte sopravvenienze si inseriscono in un quadro economico-reddituale da cui emerge comunque un evidente divario sempre in melius in favore del De.Ma. – che peraltro convive con un’altra compagna dalla quale ha sicuramente un apporto economico. (Il Fr.Vi. percepiva nel 2019 Euro 132.334,00 lordi (dichiarazione anno 2020, doc. 12 ricorrente) detratti gli oneri deducibili con un reddito imponibile di Euro 109.924,00 che, al netto delle imposte, è pari ad Euro 9.000,00 circa al mese; nel 2020 Euro 88.111,00 lordi (dichiarazione anno 2021, doc. 28 ricorrente). detratti gli oneri deducibili con un reddito imponibile di Euro 67.000,00 che, al netto delle imposte, è pari ad Euro 5.499,00 circa al mese) mentre la De.Ma. ha un reddito da lavoro di 23.000,00 euro netti l’anno nel 2020.

Rilevante è inoltre la circostanza che il De.Ma., pur dovendo versare un assegno divorzile dallo stesso concordato e quantificato in Euro 300,00 mensili in favore della Fr.Vi. è anche vero che tale importo costituisce per lui un onere deducibile e che in parte lo recupera con le imposte; di contro per la reclamata è fonte di reddito e come tale soggetto a tassazione”. La Corte d’Appello nel riconoscere soltanto nel perdurante divario la fonte della conferma della precedente statuizione sull’assegno divorzile, ha omesso la valutazione comparativa in concreto della situazione ex ante e di quella successiva ai mutamenti indicati, sulla base della quale applicare i principi costantemente applicati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di criteri attributivi e determinativi dell’assegno. Pertanto risulta censurabile l’accertamento svolto dal giudice del merito per non essere stati esaminati e valutati in via effettiva i nuovi elementi di fatto sopravvenuti da porre in correlazione, come già rilevato con quanto stabilito Da S.U.18287 del 11/07/2018 e seguenti.

La Corte di Appello ha fatto mal governo di questi principi fermando la comparazione e riconoscendo il diritto e la determinazione dell’assegno sul solo permanere del divario di reddito tra i due coniugi in contrasto con quanto sopra>>.

la sopravvenuta stabile convivenza è causa di revisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.627, rel. Meloni, sull’art. 8 legge divorzio:

<<Nel caso in esame la Corte d’appello ha ampiamente motivato in ordine al presunto giudicato: ” ritiene la Corte che il provvedimento impugnato debba essere confermato posto che si rilevano circostanze sopravvenute e provate dalla controparte tali da alterare l’equilibrio raggiunto e accertato in precedenza dal medesimo Tribunale nell’ambito del processo di divorzio, la cui sentenza è stata impugnata e poi confermata dalla Corte di Appello e, successivamente, anche dalla Suprema Corte di Cassazione, ma, a differenza di quanto sostenuto dalla reclamante, non ha delibato l’aspetto della consolidata convivenza con il Bu.Fr., che costituisce dunque l’elemento nuovo che ha legittimato la revoca dell’assegno divorzile ivi riconosciuto in suo favore: nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio si era fatto invece riferimento ad una precedente relazione della Gi.An., che però era da poco cessata e si fa cenno in sede di appello all’inizio di una nuova convivenza, che all’epoca dunque non era consolidata. Ed invero, la produzione dei documenti significativi della stabilità della convivenza in sede in primo grado è avvenuta in occasione dell’udienza di trattazione e comunque di questi ha preso atto il legale della reclamante che a verbale ha dichiarato di non contestarli dovendo rilevarsi che ben poteva interloquire sul punto chiedendo un termine per note sicché la produzione non può ritenersi irrituale alla luce della libertà delle forme di cui ai procedimenti di volontaria giurisdizione. In buona sostanza un elemento nuovo c’è che giustificherebbe la modifica delle condizioni di divorzio e cioè la stabile convivenza della reclamante con il Bu.Fr., che dura da moltissimi anni, tanto che gli accertamenti prodotti sono stati fatti da un’agenzia investigativa nel corso di 12 anni, ed è significativo che egli stesso abbia ricevuto la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado qualificandosi come persona di famiglia convivente, mentre a nulla rileva a questi fini che questi mantenga la residenza anagrafica in altro Comune. Da un lato, quindi, abbiamo una relazione di convivenza stabile, un nuovo progetto famigliare che dura da anni e che non può essere messo in discussione e deve ritenersi elemento nuovo rispetto alla sentenza di divorzio.”. Sulla base di tali sovrani accertamenti di merito, non è né illogico né irrazionale concludere – come ha fatto la Corte territoriale – che, nel caso, era venuta del tutto meno la componente relativa alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile.

Con riguardo alla componente compensativa, la Corte ha così motivato:” come ha osservato il Tribunale di Pescara, la ricorrente non ha fornito elementi, già in occasione della causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di aver contribuito alla comunione familiare, così come nella memoria difensiva, dovendosi ritenere all’uopo certamente non sufficiente il dato del mancato svolgimento di attività lavorativa, avendo in proposito la Suprema Corte evidenziato (Cass. n. 21228/2019, richiamata dalle Sezioni Unite sopra citate) che il giudice di merito non potrà nemmeno presumere, puramente e semplicemente, che il non aver uno dei due coniugi svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una scelta comune dei coniugi e neppure che il non aver svolto attività lavorativa abbia di per sé sicuramente giovato al successo professionale dell’altro coniuge”.

I motivi proposti nel presente ricorso, pertanto, non sono idonei a censurare tali passaggi argomentativi che costituiscono accertamenti di merito non rivalutabili in questa sede>>.

Nella revisione delle condizioni di divorzio costituisce sopravvenienza valutabile per l’aumento dell’assegno divorzile la revoca dell’assegnazione della casa familiare

Cass. Sez. I, Ord. 25/03/2024 n. 7.961, rel. Reggiani, pone il seguente principi odi diritto sulla revisione dell’assegno divorzile:

In tema di revisione delle condizioni di divorzio, costituisce sopravvenienza valutabile, ai fini dell’accertamento dei giustificato motivi per l’aumento dell’assegno divorzile, la revoca dell’assegnazione della casa familiare di proprietà esclusiva dell’altro ex coniuge, il cui godimento, ancorché funzionale al mantenimento dell’ambiente familiare in favore dei figli, costituisce un valore economico non solo per l’assegnatario, che ne viene privato per effetto della revoca, ma anche per l’altro coniuge, che si avvantaggia per effetto della revoca, potendo andare ad abitare la casa coniugale o concederla in locazione a terzi o comunque impiegarla in attività produttive, compiendo attività suscettibili di valutazione economica che, durante l’assegnazione all’altro coniuge, non erano consentite.”

REvisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 12/03/2024 n. 6.453, rel. Meloni:

<<Occorre premettere che il giudizio riguarda la revisione delle condizioni di divorzio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970. Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la revisione dell’assegno divorzile di cui all’art. 9 della l. n. 898 del 1970 postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (Cass. 10133/2007; Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019). Appare altresì opportuno rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e 17098/2019).

Ciò premesso nel caso concreto, la censura risulta infondata in quanto la Corte d’appello ha ritenuto correttamente valida ed efficace la pattuizione intervenuta tra i coniugi successivamente alla sentenza di divorzio, trovando essa fondamento nell’art. 1322 c.c. e nel principio di autonomia negoziale ivi stabilito e non costituendo detto accordo una lesione di diritti indisponibili e poi ha osservato che già all’epoca del decreto del 19.03.2021 erano state prese in considerazione tutte le circostanze sopravvenute rispetto al momento della pronuncia della sentenza divorzile e nuovamente riproposte dallo Sc.En. nel procedimento in esame (…), va osservato che l’unica novità e rappresentata dal trasferimento del figlio Fe. presso il padre. Trattasi di circostanza che il Tribunale ha senz’altro considerato, dal momento che ha revocato l’assegno posto a carico del padre per il mantenimento del figlio (pari ad euro 700,00) e ha confermato la contribuzione della madre nella misura del 50% alle spese straordinarie scolastiche e sanitarie del minore. “La revisione dell’assegno divorzile richiede la presenza di “giustificati motivi” e impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali. Ove, pertanto, le ragioni invocate per la revisione siano tali da giustificare la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi. (Cass. 354/2023)”.

Tale valutazione è stata effettuata – con ampia ed adeguata motivazione – dalla Corte territoriale, che ha tenuto conto anche delle circostanze dedotte dal ricorrente che, per converso, tende a sollecitare un inammissibile riesame di merito>>.

E poi:

<<Nel giudizio di divorzio, al fine di quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli economicamente non autosufficienti, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. 19299/2020; Cass. 4145/2023). Nella specie, la Corte ha preso in adeguata considerazione la situazione economica di entrambe le parti, pervenendo ad una soluzione che tiene conto del fatto che entrambi i figli vivono con il padre, esonerato dal corrispondere per essi un assegno di mantenimento, ponendosi a carico della madre – in considerazione ella sua capacità reddituale inferiore – un contributo per le spese straordinario.

Nel caso in esame la Corte di merito ha adeguatamente ed esaurientemente valutato i singoli elementi e la situazione complessiva ed il motivo si traduce in una inammissibile richiesta di riesame delle circostanze di merito. Il ricorso deve quindi essere respinto>>.

Sul dies a quo di efficacia della revisione di assegno divorzile

Cass.  Sez. I ord. 27 febbraio 2024 n. 5.170 , Rel. Pazzi:

<In materia di revisione dell’assegno di divorzio, il diritto a percepirlo di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, sicché, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorità, intangibilità e stabilità, per quanto temporalmente limitata (“rebus sic stantibus”), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione>.

(massima di Valeria  cianciolo in Ondif)

Nuova convivenza more uxorio e revisione dell’assegno divorzile (art. 9 legge divorzio n° 878/1070): va individuato il peso della componente assistenziale dell’assegno

Cass. sez. I  dep. 12/02/2024), n. 3.761, rel. Parise:

<<Occorre rimarcare che, poiché si verte in tema di revisione ex art. 9 citato, la convivenza more uxorio costituisce un fatto sopravvenuto rispetto all’equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus che potrebbe configurarsi come non più attuale e idoneo a regolare il modificato assetto di interessi post-coniugali. E’ stato infatti chiarito da questa Corte, sempre in tema di revisione dell’assegno divorzile, che il giudice, a fronte della prova di circostanze sopravvenute sugli equilibri economici della coppia, non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 18287 del 2018 deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall’assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio (Cass. 7666/2022). [cosa ovvia!!!]

7. Tanto precisato, va innanzitutto osservato che, essendo stato l’assegno già riconosciuto in sede di giudizio divorzile, non può mettersi ora in discussione che, in allora, l’assegno non fosse dovuto, e ciò perché ne era stata riconosciuta la debenza con la citata sentenza n.18/2010: sia per la finalità assistenziale, sia per quella perequativa-compensativa, in base a quanto risulta implicitamente accertato dalla Corte di merito con il decreto oggetto dell’odierna impugnazione. Di conseguenza, non può operarsi, nel presente giudizio, una diversa ponderazione dei presupposti necessari per il riconoscimento ab origine dell’assegno divorzile e, anche, delle correlate condizioni economiche delle parti già effettuata, ovviamente con i dati e le risultanze dell’epoca, con la citata sentenza del 2010, con l’ulteriore corollario che il ricorrente non può ora negare il ruolo endo-familiare dell’ex moglie svolto durante la vita matrimoniale.

8. In quest’ottica e così inquadrato l’ambito di cognizione, entro il quale deve svolgersi il presente giudizio, i motivi secondo e terzo, che sono sostanzialmente diretti a contestare la sussistenza e la dimostrazione del contributo familiare dell’ex moglie, sono inammissibili, e così anche il quarto, con il quale il ricorrente, sempre al fine di negare che occorra “compensare” il suddetto contributo, assume anche che debba valorizzarsi il regime patrimoniale scelto dagli ex coniugi in costanza di matrimonio.

9. Per contro, certamente, alla luce dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenze nn. 18287 del 2018 e 32191 del 2021, il giudice di merito deve verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato gli equilibri sanciti dall’assetto economico patrimoniale dato dalla sentenza di divorzio, nonché deve anche verificare se persista il presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati (Cass. S.U. 32191/2021 citata), sempre in dipendenza del fatto sopravvenuto.

Infatti, come in ogni altra ipotesi di revisione dell’assegno divorzile, si richiede la presenza di “giustificati motivi” e si impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una rinnovata valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali (cfr. Cass. 354/2023).

Ove, pertanto, le ragioni invocate per la revisione siano tali da giustificare la revoca o la riduzione dell’assegno divorzile, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi.

10. Nel caso di specie, la Corte d’appello si è limitata ad effettuare un’operazione matematica di dimezzamento dell’assegno divorzile originariamente riconosciuto, senza precisare quale fosse il “peso” della componente assistenziale non più dovuta, ove individuabile in base alla sentenza di divorzio [nds: e se non lo è? l’art. 5 l. div. non lo prevede come obbligarorio], ma, soprattutto e prima ancora, senza accertare quale fosse l’incidenza della sopravvenienza sull’adeguatezza dei mezzi della beneficiaria e quale la rinnovata comparazione delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi.

Resta da aggiungere che l’aspetto della nuova condizione economica dell’ex moglie, come fatto impeditivo derivante dalla sopravvenuta convivenza more uxorio, doveva essere specificamente allegato e dimostrato dall’ex marito, poiché l’onere probatorio sul punto grava sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass.3645/2023). Pertanto, la Corte di merito, una volta ritenuta provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita del beneficiario con il nuovo partner, avrebbe dovuto accertare, in presenza di allegazioni e offerta di prova dell’ex marito, se e in che termini fossero discese, dalla nuova relazione more uxorio, reciproche contribuzioni economiche (Cass.3645/2023). A tale riguardo l’odierno ricorrente deduce, con sufficiente specificità, di aver fornito, nel giudizio di merito, indizi ed elementi istruttori sintomatici di una più che ampia disponibilità di mezzi adeguati in capo alla richiedente l’assegno (cfr. pag.7 ricorso per i riferimenti a vacanze, crociere, frequenti viaggi in aereo per far visita al figlio – residente in Spagna alle Isole Canarie -, acquisto, in proprietà piena ed esclusiva, di un immobile produttivo di reddito, in quanto già locato a terzi).>>

V, poi stesso relatore, Cass.  Sez. I, Ord. 08 marzo 2024 n. 6.250, rel. Parise:

<<Va rilevato che, nel giudizio relativo alla negazione o alla revoca dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza more uxorio, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente, ma nel loro complesso, l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale
e materiale (Cass. 14151/2022)>>