Tema tradizionale, ma sempre assai utile alla pratica, quello esaminato da Cass. sez. III, ord. 13/11/2023 n. 31.575, rel. Saija:
<<Deve anzitutto ribadirsi che il diritto del creditore di soddisfarsi sui beni del proprio debitore, in forza della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., è ovviamente di portata generale. Esso, con specifico riguardo ai beni conferiti dal debitore in fondo patrimoniale, non perde tale carattere, ma deve coniugarsi con la regola eccettuativa dettata dall’art. 170 c.c., secondo cui “L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Il creditore, dunque, non può agire esecutivamente su detti beni (sempre che il fondo sia stato regolarmente costituito e annotato sull’atto di matrimonio, questioni qui non in discussione) se: a) il debito è insorto per il soddisfacimento di scopi estranei ai bisogni della famiglia; b) il creditore stesso ne era a conoscenza (all’atto della stessa insorgenza del debito).
Pertanto, nel momento in cui il creditore aggredisce senz’altro esecutivamente i beni già conferiti in fondo patrimoniale all’atto del pignoramento (e sempre che il fondo sia stato regolarmente costituito e annotato, ut supra, giacché in caso contrario non v’e’ alcun ostacolo all’azione esecutiva del creditore), viene speso il presupposto implicito della pignorabilità dei beni stessi, ossia, correlativamente: aa) che il debito venne contratto per far fronte ai bisogni della famiglia; ed inoltre, bb) che esso creditore non era a conoscenza dell’estraneità dell’obbligazione ai bisogni familiari.
Ebbene, è proprio con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., comma 2, che il debitore esecutato può far valere il descritto regime di impignorabilità, restando onerato di dimostrare che detti presupposti (implicitamente o esplicitamente invocati dal pignorante, non importa) sono nella specie insussistenti (circa l’attribuzione dell’onere della prova in capo all’opponente, in subiecta materia, si vedano, ex multis, Cass. n. 2970/2013; Cass. n. 4011/2013; Cass. n. 5385/2013; Cass. n. 21800/2016; Cass. n. 18110/2020; Cass. n. 41255/2021): egli deve dunque dimostrare che il debito è stato contratto per scopi estranei ai bisogni familiari e che il creditore ne era consapevole, da tanto discendendo, dunque, l’insussistenza del diritto del pignorante di procedere esecutivamente sui beni aggrediti, benché conferiti nel fondo patrimoniale.
In questo quadro, pertanto, ben si spiega quale sia l’interesse, per il creditore, nel proporre l’azione revocatoria ordinaria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale, ex art. 2901 c.c.: egli a tanto può determinarsi, evidentemente, quando abbia contezza dell’opponibilità del fondo rispetto alla propria eventuale azione esecutiva, ossia quando ritenga (e di tanto sia consapevole, all’atto della relativa insorgenza) che il proprio credito venne effettivamente contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia: in tali condizioni, egli non può procedere direttamente al pignoramento, anche per non esporsi al rischio di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione proposta dal debitore. In tal caso, l’aggredibilità del bene in executivis deve necessariamente passare per la previa declaratoria di inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale nei confronti del creditore, sempre che ovviamente ne sussistano i presupposti ex art. 2901 c.c., ed in primis la natura pregiudizievole dell’atto dispositivo (che, com’e’ noto, è atto a titolo gratuito; v. Cass. n. 19131/2004; Cass. n. 24757/2008), nonché la consapevolezza del debitore di tale natura, ossia l’eventus damni e il consilium fraudis.
3.2.3 – Quanto precede spiega ampiamente, dunque, il perché l’azione revocatoria ordinaria debba essere proposta anche nei confronti del coniuge non debitore, che è in tal caso litisconsorte necessario: infatti, solo con la sentenza (per di più, passata in giudicato) può rimuoversi, per il creditore attore, il limite alla pignorabilità dei beni, sulla cui destinazione familiare il coniuge non debitore (a prescindere, si ripete, dalla circostanza che egli ne sia divenuto o meno proprietario) può legittimamente confidare, quantomeno in relazione alla posizione di quel dato creditore: ottenuta la declaratoria di inefficacia relativa dell’atto costitutivo del fondo, il creditore può così liberamente pignorare i beni che vi siano stati conferiti, senza alcun limite, secondo lo statuto dettato dagli artt. 2901 c.c. e ss.. Ciò giustifica, dunque, la partecipazione necessaria del coniuge al relativo giudizio, non diversamente da quanto avviene, per l’azione revocatoria in generale, per l’avente causa del debitore, sussistendo litisconsorzio necessario tra questi, il proprio avente causa e lo stesso creditore attore (per tutte, Cass. n. 11150/2003).
3.2.4 – La posizione del coniuge non debitore si prospetta in guisa affatto diversa, invece, nel caso di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. proposta dall’altro coniuge, titolare dei beni pignorati.
In tal caso, il primo è per definizione estraneo all’azione esecutiva intrapresa dal creditore, perché – come s’e’ detto – questi ha proceduto al relativo pignoramento sul presupposto dell’inoperatività del vincolo derivante dal fondo, nei suoi confronti, e su beni del proprio debitore: ciò a meno che il coniuge non debitore non vanti egli stesso un diritto reale sul bene, che sia incompatibile con l’azione esecutiva, per come spiegata, nel qual caso – fermi i poteri officiosi del giudice dell’esecuzione circa l’individuazione della effettiva spettanza al debitore esecutato del diritto pignorato – lo stesso coniuge non debitore ben potrà reagire con l’opposizione.
Tanto può accadere, a titolo esemplificativo, quando il coniuge non debitore sia divenuto comproprietario dei diritti conferiti dall’altro coniuge nel fondo, ai sensi dell’art. 168 c.c. (beninteso, si tratta di ipotesi non necessaria, perché l’atto costitutivo può escludere tale effetto). La legittimazione all’opposizione del coniuge non debitore, però, presuppone che il pignoramento attinga direttamente il diritto reale di cui egli sia titolare.
3.2.5 – Tuttavia, ove non ricorrano tali condizioni, non solo il coniuge non debitore non è legittimato ad opporsi in proprio (arg. ex Cass. n. 18065/2004; Cass. n. 10641/2014; Cass. n. 19376/2017), ma non v’e’ spazio neppure per la sua partecipazione (per di più necessaria) all’opposizione all’esecuzione proposta dal coniuge esecutato, perché l’oggetto del relativo giudizio consiste esclusivamente nell’accertamento dell’inesistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata sui beni dell’opponente, in quanto conferiti nel fondo patrimoniale. All’esito, dunque, ne discenderà che: 1) o tale diritto sussiste, e dunque i beni pignorati erano destinati naturaliter al soddisfacimento del credito azionato nei confronti del coniuge disponente, benché conferiti nel fondo, e sono stati correttamente pignorati; 2) oppure tale diritto non sussiste, e dunque i beni non potevano destinarsi alla soddisfazione del credito azionato, sicché sono stati pignorati illegittimamente.
Nell’un caso o nell’altro, la posizione del coniuge non debitore (e non titolare del diritto pignorato) rimane sullo sfondo, e non entra di regola nel perimetro soggettivo della controversia ex art. 615 c.p.c., che resta relegato ad una contesa tra creditore pignorante-opposto, da un lato, e debitore esecutato-opponente, dall’altro.
Non può dunque configurarsi – come propugnato dai ricorrenti anche in memoria – alcuna interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento che imponga di considerare il coniuge non debitore come litisconsorte necessario, sia nel giudizio di revocatoria ordinaria, sia di opposizione all’esecuzione>>.