Revocabilità del trasferimento immobiliare solutorio a seguito di separazione personale

Cass. sez. III, ord. 06/11/2024 n. 28.558, rel. Tassone:

<<6.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, “È suscettibile di revoca ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. il contratto con cui un coniuge trasferisca all’altro un immobile, al dichiarato fine di dare esecuzione agli obblighi assunti in sede di separazione consensuale omologata. La domanda di revoca del contratto di trasferimento sottopone alla cognizione del giudice anche l’esame degli accordi preliminari stipulati in sede di separazione, che abbiano dato causa al trasferimento, senza necessità che sia proposta specifica impugnazione contro gli stessi, sempre che siano stati dedotti in giudizio i presupposti di diritto e di fatto rilevanti ai fini della decisione. La valutazione relativa alla sussistenza dei requisiti per la revoca ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. va compiuta con riferimento sia ai preliminari accordi di separazione, sia al contratto definitivo di trasferimento immobiliare” (Cass., n.11914/2008).

Ed ancora: “Il trasferimento di un immobile, effettuato da un coniuge a favore dell’altro in ottemperanza a patti assunti in sede di separazione consensuale, trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene dovuto solo in conseguenza di un impegno assunto in costanza dell’esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l’accordo separativo, in tal caso, costituisce esso stesso parte dell’operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l’applicazione dell’art. 2901, comma 3, c.c.” (Cass., 17612/2018; Cass., 1144/2015; Cass., 1404/2016; Cass., 13364/2015).

Questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo la validità delle clausole dell’accordo di separazione che, nel quadro della complessiva regolamentazione dei rapporti fra i coniugi, prevedano il trasferimento di beni immobili (Cass., 15/05/1997, n. 4306; Cass., 11/11/1992, n. 12110), sul rilievo che dette clausole costituiscono espressioni di libera autonomia contrattuale delle parti interessate (Cass., 02/12/1991, n. 12897), dando vita, nella sostanza, a veri e propri contratti atipici, con particolari presupposti e finalità, non riconducibili né al paradigma delle convenzioni matrimoniali né a quello della donazione, ma diretti comunque a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., dato che rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento di “separazione consensuale” ed alla finalità di una sistemazione “solutorio-compensativa”, comprensiva di tutta quell’ampia serie di possibili rapporti, anche del tutto frammentari, aventi significati, o eventualmente solo riflessi, patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cass., 5741/2004; Cass., 11342/2004; Cass., n. 11914/2008; Cass., n. 15603/2005).

Si è al riguardo precisato che tali clausole ed operazioni ad esse correlate possono invero rivelarsi in concreto lesive dell’interesse dei creditori all’integrità della garanzia patrimoniale del coniuge disponente, nessun ostacolo testuale o logico-giuridico in tal caso frapponendosi alla relativa impugnazione – ricorrendone i presupposti – mediante l’esperimento dell’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare (cfr. Cass., 23/3/2004, n. 5741).

Né l’esperimento dell’azione revocatoria può considerarsi precluso in ragione della circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore risultino essere stati concretamente pattuiti in funzione solutoria dell’obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, obbligo di fonte legale, rientrante come tale nel c.d. contenuto necessario dell’accordo di separazione, dato che l’azione revocatoria non pone in discussione la sussistenza dell’obbligo in sé, quanto piuttosto le modalità di assolvimento del medesimo, quali stabilite dalle parti nell’ambito di un regolamento, per questo verso, di matrice spiccatamente “convenzionale” (Cass. 12/04/2006, n. 8516)>>.

Solo che per l’art. 2901 cc l’adempimento di debito scaduto , come pare fosse nel caso de quo (trasferimento solutorio per adempiere agli obblighi assunti in sede di separazione omologata), non è revocabile. Il creditore avrebbe semmai dovuto esperire la -ben più faticosa- azione di simulazione.

E’ revocabile il trasferimento immobiliare pattuito negli accordi di separazione, anche se recepiti dalla sentenza che definisce una separazione giudiziale

Cass. sez. III, sent.  07/10/2024 n. 26.127, rel. Condello:

<<4.3. Le conclusioni cui giungono i precedenti sopra richiamati valgono anche nel caso qui in esame, con la sola differenza che, mentre in quelli gli accordi patrimoniali erano posti ad oggetto di separazione consensuale omologata dal Tribunale, nel caso in esame essi sono invece posti ad oggetto di ricorso di separazione giudiziale necessariamente concluso con sentenza che ne ha recepito il contenuto. Si tratta però di differenza che, ai fini in esame, rimane priva di rilievo.

In tal senso soccorrono le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite con la sentenza del 29 luglio 2021, n. 21761, che, rispondendo a quesito riguardante la validità e trascrivibilità di accordi patrimoniali conclusi in sede (e ai fini del giudizio) di separazione o divorzio, ha affermato il principio di diritto, secondo cui: “Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., purché risulti l’attestazione del cancelliere che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985, come introdotto dall’art. 19, comma 14, del D.L. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 2010, restando invece irrilevante l’ulteriore verifica circa gli intestatari catastali dei beni e la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

In sostanza, le Sezioni Unite hanno affermato il valore meramente dichiarativo della pronuncia (sentenza di separazione o di divorzio) in relazione alle pattuizioni sui rapporti economici, rilevando che “i due istituti” (ossia, da un lato, la separazione consensuale tra i coniugi e, dall’altro, il divorzio congiuntamente richiesto dai medesimi, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16) – pur presentando innegabili diversità sul piano della disciplina (le quali essenzialmente si compendiano nel fatto che, nel secondo caso, il procedimento non termina con l’omologazione da parte del tribunale, bensì con una sentenza emessa all’esito dell’audizione dei coniugi) – “si presentano strettamente connessi l’uno all’altro sul piano dogmatico. Ed invero, ad accomunare le due fattispecie è certamente la connotazione, presente in entrambe, dell’essere finalizzate ad ottenere mediante il consenso dei coniugi, piuttosto che con la pronuncia costitutiva del giudice, le divisate modificazioni dello status coniugale, con le conseguenti ricadute sull’affidamento ed il mantenimento della prole, ove esistente, e sui profili economici concernenti i rapporti tra i coniugi stessi”.

Hanno, quindi, evidenziato che “la pacifica… natura negoziale degli accordi dei coniugi, equiparabili a pattuizioni atipiche ex art. 1322 c.c., comma 2, comporta che – al di fuori delle specifiche ipotesi succitate – nessun sindacato può esercitare il giudice del divorzio sulle pattuizioni stipulate dalle parti. Come del resto – sul piano generale – il giudice non può sindacare qualsiasi accordo di natura contrattuale privato, che corrisponda ad una fattispecie tipica, libere essendo le parti di determinarne liberamente il contenuto (art. 1322 c.c., comma 1), fermo esclusivamente il rispetto dei limiti imposti dalla legge a presidio della liceità delle contrattazioni private e, se si tratta di pattuizioni atipiche, sempre che l’accordo sia anche meritevole di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c., comma 2)” >>.