Revocatoria di atto anteriore al sorgere del credito: le Sezioni Unite su questione in realtà poco controvertibile

Sull’art. 2901 n. 2 cc, Cass sez. un., 27/01/2025 n. 1.898, rel Mercolino, chiariscono ciò che per vero era già sufficientemente chiaro:

“In tema di azione revocatoria, quando l’atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare la “dolosa preordinazione” richiesta dallo art. 2901, primo comma, cod. civ. non è sufficiente la mera consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni dei creditori (c.d. dolo generico), ma è necessario che l’atto sia stato posto in essere dal debitore in funzione del sorgere dell’obbligazione, al fine d’impedire o rendere più difficile l’azione esecutiva o comunque di pregiudicare il soddisfacimento del credito, attraverso una modificazione della consistenza o della composizione del proprio patrimonio (c.d. dolo specifico), e che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse a conoscenza dell’intento specificamente perseguito dal debitore rispetto al debito futuro”. (principio di diritto).

Esisteva invece una corrente per cui “non è necessaria la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore, ma è sufficiente la semplice coscienza, da parte del primo, del pregiudizio arrecato al secondo (cfr. Cass., Sez. III, 4/09/2023, n. 25687; 27/ 02/2023, n. 5812; 15/10/2010, n. 21338; 7/10/2008, n. 24757). In altri termini, non è richiesta la volontà del debitore di contrarre debiti, ovvero la consapevolezza da parte sua del sorgere della futura obbligazione, né il compimento dell’atto allo specifico fine di impedire o ostacolare l’attuazione coattiva del diritto del creditore, ma è sufficiente la mera previsione del pregiudizio arrecato ai creditori, da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore (cfr. Cass., Sez. III, 23/9/2004, n. 19131)”.

Dice bene la SC, “L’utilizzazione di due espressioni aventi un significato completamente differente nell’ambito della medesima disposizione appare tutt’altro che casuale, se solo si tiene conto del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi, proprio con riguardo all’azione revocatoria, precedentemente all’entrata in vigore del Codice civile del 1942.

Nel Codice civile del 1865, la medesima azione era infatti disciplinata dallo art. 1235, il quale, oltre a prevedere (almeno secondo l’opinione prevalente) soltanto la revocabilità degli atti dispositivi posti in essere dal debitore in epoca successiva al sorgere del credito, la subordinava alla condizione che gli stessi fossero stati “fatti in frode” delle ragioni dei creditori: il significato di tale espressione era controverso, ritenendosi da parte di alcuni autori che con la stessa il legislatore avesse inteso fare riferimento all’intenzione di recare danno ai creditori (c.d. animus nocendi), e da parte di altri che avesse voluto invece richiedere, ai fini dell’accoglimento della domanda, la mera coscienza del pregiudizio arrecato ai creditori, attraverso la creazione o l’aggravamento di una situazione d’insolvibilità (c.d. scientia damni). Alla fine prevalse la seconda tesi, in virtù della considerazione che l’individuazione del presupposto soggettivo della revocatoria nell’animus nocendi avrebbe comportato un eccessivo restringimento dei limiti di operatività dell’azione, impedendo alla stessa di svolgere efficacemente la propria funzione di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale.

Tale indirizzo trovò accoglimento anche in sede di redazione del Codice vigente, il quale, tuttavia, ha ampliato l’ambito applicativo dell’azione, ammettendone l’esercizio anche nei confronti degli atti dispositivi posti in essere anteriormente al sorgere del credito, ma differenziandone il presupposto soggettivo da quello richiesto ai fini della revocatoria degli atti posti in essere successivamente, nel senso che, mentre per la dichiarazione d’inefficacia di questi ultimi è necessaria soltanto la prova della “conoscenza del pregiudizio” arrecato alle ragioni dei creditori, per quella dei primi occorre la prova della “dolosa preordinazione” al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito. In quanto adottata nella piena consapevolezza dei contrasti insorti in ordine all’interpretazione della disciplina previgente, la formulazione letterale dello art. 2901, primo comma, cod. civ. non può dar luogo ad equivoci, testimoniando chiaramente la volontà del legislatore di regolare in maniera diversa il profilo soggettivo delle due fattispecie da esso contemplate, attraverso l’introduzione di una disciplina più restrittiva per la revocatoria degli atti compiuti in epoca anteriore al sorgere del credito: diversamente, infatti, la norma si sarebbe limitata a chiarire che l’azione era proponibile anche contro gli atti dispositivi compiuti in epoca anteriore al sorgere del credito, richiedendo per entrambe le ipotesi la prova della consapevolezza da parte del debitore della dell’incidenza dell’atto sulla consistenza quantitativa o qualitativa del proprio patrimonio, e quindi sulla garanzia generica dei creditori, senza fare alcun riferimento alla necessità di un disegno fraudolento, volto a sottrarre il bene alienato o vincolato all’azione esecutiva del creditore o a rendere più difficile il soddisfacimento del suo credito.

6.4. La differenza esistente tra la pura e semplice consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori e la volontà di danneggiarli mediante il compimento dell’atto dispositivo era stata d’altronde già colta dalla dottrina in epoca anteriore all’entrata in vigore del Codice civile del 1942, anche se ne era stata sminuita la portata concreta: premesso infatti che il consilium fraudis presuppone ad un tempo la rappresentazione dell’effetto dannoso dell’atto e la volontà di porlo ugualmente in essere, si era osservato che nella gestione del proprio patrimonio il creditore non tiene normalmente conto dell’interesse del creditore, ma agisce come se lo stesso non esistesse, e si era pertanto concluso che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della revocatoria, non era necessaria una specifica intenzione di danneggiare il creditore o determinati creditori, ma era sufficiente la coscienza, da parte del debitore, di determinare o accrescere la propria insolvenza, attraverso il compimento dell’atto dispositivo, mettendo quindi il proprio patrimonio in condizione di non poter offrire ai creditori la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni contratte.””

Revocatoria ordinaria del conferimento in società ed eventus damni costituito dalla sostituzione dell’immobile con partecipazione societaria

Interessante rinfresco di due questioni in tema di revocatoria ord. in Cass. sez. 3 del 14 luglio 2023 n. 20.232, rel. Cricenti.

Motivazione breve, chiara e persuasiva.

1) << Invero, le ragioni che a favore della revocabilità sono fatte valere da questa Corte anche prima della riforma nel diritto societario continuano naturalmente a valere anche dopo.

Giova riassumerle: l’art. 2332, attiene alla nullità del contratto e non ai vizi della singola partecipazione, che si attua mediante il conferimento; non è implicato il principio di separazione tra il patrimonio del socio e il patrimonio della società in quanto il bene oggetto di revocatoria non ritorna nel patrimonio del debitore, essendo solo dichiarata l’inefficacia nei confronti del creditore di costui; infine non interferisce con la disciplina in tema di trascrizione poiché quest’ultima tutela gli aventi causa dell’acquirente diretto e non quindi la società che riceve il conferimento, che, ai sensi dell’art. 2901 c.c., è considerata terza (Cass. 23891/2013, ma si veda altresì quanto ad una srl unipersonale Cass. n. 27290 del 2022).

Ora, queste ragioni permangono inalterate pur dopo la riforma dell’art. 2332 c.c., che non ha disciplinato il patrimonio sociale in modo da renderlo incompatibile con la revocatoria dei conferimenti, né dalla riforma di quella norma risulta che la revocatoria, la quale, si ripete, mira a far dichiarare inefficace l’atto nei confronti del creditore, è diventata incompatibile con la nuova disciplina delle cause di nullità.

Ne’ infine la nuova disciplina dell’art. 2332 c.c., ha inciso dell’art. 2901 c.c., u.c., che fa salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buonafede.

Senza contare infine che se l’atto di conferimento fosse irrevocabile, non soggetto a revocatoria, sarebbe uno strumento sicuro per sottrarre beni alla garanzia del creditore>>.

2) <<l ricorrente censura la sentenza impugnata nel punto in cui ha ritenuto che la sostituzione del bene immobile con una quota societaria ha costituito pregiudizio per il creditore, nel senso che per costui altro è avere la garanzia di un bene immobile altro quella di avere la garanzia di una quota societaria: ciò in quanto il bene immobile è più facilmente liquidabile in sede esecutiva di una partecipazione ad una società.

Secondo il ricorrente questo apprezzamento è del tutto arbitrario, nel senso che se la questione è quella della più o meno agevole liquidazione in sede esecutiva, i beni immobili presentano le stesse difficoltà di liquidazione delle partecipazioni societarie, e comunque non è affatto detto che per un terzo acquirente non sia più appetibile la quota societaria rispetto al bene immobile.

Il motivo è infondato.

E’ regola che a rendere legittima l’azione revocatoria non è necessaria una compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, essendo sufficiente che l’atto di disposizione abbia reso meno agevole o più difficile la soddisfazione del credito (Cass. 1902/20215) e dunque correttamente la corte di merito ha tenuto in conto la maggiore difficoltà di liquidare una quota rispetto a quella di vendere un immobile.

Inoltre, è principio di diritto che anche una variazione qualitativa del patrimonio del debitore giustifica un’azione revocatoria (Cass. 26151/2014), e tale deve ritenersi la sostituzione di beni immobili con partecipazioni societarie, essendo noto che queste sono soggette a mutamenti di valore, se non altro, maggiori di quelli>>.