Il danno antitrust , azionabile ex art. 33 L. 287/90, non è solo quello subito dai consumatori

Cass. sez. III, ord. 22/03/2024  n. 7.834, rel. Gorgoni:

<<La Corte territoriale ha correttamente richiamato e altrettanto correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte che ritiene legittimati a far valere la violazione della l. n. 287/1990 tutti i soggetti del mercato che abbiano subito un danno dall’illecito anticoncorrenziale.

Sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 4/02/2005, è pacifico che l’art. 1 della l. 287/1990, quando vieta le intese che abbiano per effetto o per oggetto di impedire, restringere o falsare “in maniera consistente” il gioco della concorrenza “all’ interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante”, ripete l’art. 81 del TUE “salvo che per la norma comunitaria la rilevanza quantitativa è data ovviamente dall’ambito comunitario. Ma ciò che conta rispetto al problema che ne occupa è il rilievo dimensionale della fattispecie, che si spiega con il fatto che oggetto della tutela della legge n 287 del 1990, come già del Trattato, è appunto la struttura concorrenziale del mercato di riferimento, la quale ragionevolmente non viene messa in discussione da un comportamento che per quanto ontologicamente rispondente alla fattispecie di cui si tratta, per la sua dimensione, non incide significativamente sull’assetto che trova” e che “l’ampia tutela accordata dalla legge nazionale antitrust, in armonia con il Trattato, non ignora la plurioffensività possibile del comportamento di vietato (cfr. Cass. n. 827 del 1999). Un’ intesa vietata può ledere anche il patrimonio del singolo, concorrente o meno dell’autore o degli autori della intesa”.

La pronuncia – ben diversamente da quanto intende la banca ricorrente – non ha voluto restringere al consumatore la legittimazione ad agire per far valere l’illecito anticoncorrenziale, ma ha voluto dimostrare che, stante la diversità di ambito e di funzione della tutela codicistica della concorrenza sleale rispetto a quella prevista della legge antitrust, quest’ultima “non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere”. Ha dunque ampliato la platea dei soggetti tutelati dalla normativa sulla concorrenza, togliendo “alla volontà anticoncorrenziale “a monte” ogni funzione di copertura formale dei comportamenti “a valle”” (Cass., Sez. Un., 4/02/2005, n.2207, cit.)>>.

Statuizione ineccepibile, al punto che c’è responsabilità aggravata in capo al soccombente per aver sostenuto tesi contraria.

Decorrenza del termine prescrizionale ed efficacia del c.d. settlment presso la Commissione UE ai fini del risarcimento del danno antitrust da cartello illecito

Cass. sez. I sent. 28/02/2024 n. 5.232, rel. Falabella, in un caso regolato dal d lgs n. 3 dl 2017 anche se relativo a condotta anteriore :

-I-

<<Il danno di cui si fa questione nella presente sede rientra tra quelli comunemente denominati lungolatenti, i quali sono caratterizzati dalla presenza di un segmento temporale, di significativa – e perciò non trascurabile – entità, che separa l’insorgenza del danno dalla sua percezione. La lungolatenza del danno fa sì che il titolare del diritto possa dirsi in stato di inerzia, rispetto all’esercizio del diritto risarcitorio, solo a partire dal momento in cui sia adeguatamente edotto delle circostanze dell’illecito concorrenziale: sicché l’azione risarcitoria da intesa anticoncorrenziale si prescrive, in base al combinato disposto degli art. 2935 e 2947 c.c., in cinque anni dal giorno in cui chi assume di aver subito il danno abbia avuto, usando l’ordinaria diligenza, ragionevole ed adeguata conoscenza del danno e della sua ingiustizia (così Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305). Ai fini della decorrenza del termine, quindi, non rileva il momento in cui l’agente compie l’illecito o quello in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, quanto, piuttosto, il momento in cui la condotta ed il conseguente danno si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e riconoscibili (Cass. 6 dicembre 2011, n. 26188; nello stesso senso, cfr. Cass. 5 luglio 2019, n. 18176). Il principio è stato ribadito di recente dalla Corte di giustizia: si è evidenziato, per la precisione, proprio con riferimento all’illecito concorrenziale accertato dalla Commissione il 19 luglio 2016, di cui qui si dibatte, che i termini di prescrizione applicabili alle azioni per il risarcimento del danno per le violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione non possano iniziare a decorrere prima che la violazione sia cessata e che la persona lesa sia venuta a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia venuta a conoscenza, del fatto di aver subito un danno a causa di tale violazione, nonché dell’identità dell’autore della stessa (Corte giust. UE 22 giugno 2022, C-267/20, cit., 61).

Appare allora comprensibile come la prescrizione, nel caso di intese restrittive della concorrenza, decorra, almeno di regola, dal momento in cui l’autorità competente accerta l’illecito: infatti, è caratteristica propria di tali accordi il fatto di rimanere riservati alle imprese che li assumono: con la conseguenza che il consumatore ne rimane esposto anche se in concreto li ignora (sul punto, già Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305, cit., in motivazione)>>.

Il conseguente principio di diritto:

< “In tema di risarcimento del danno da illecito antitrust, la domanda risarcitoria proposta dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 3 del 2017 per una violazione del diritto della concorrenza che è cessata prima dell’entrata in vigore della dir. 2014/104/UE, recepita da detto decreto legislativo, è assoggettata ratione temporis alla nuova disciplina sempre che il termine di prescrizione applicabile in virtù delle norme previgenti non sia spirato prima della data di scadenza del termine di recepimento della medesima direttiva; nel caso di illecito antitrust consistente in intesa anticoncorrenziale, rileva, dunque, che in base al diritto italiano, il termine di prescrizione della relativa azione comincia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità”.

– II –

sull’efficacia nel giudizio risarcitorio del cd settlment, regolato dall’art 10 bis reg. 773/2004:
<<2.5 In sostanza, la Corte di appello, pur avendo discettato del valore vincolante delle decisioni della Commissione, ha basato il proprio giudizio circa l’esistenza dell’illecito concorrenziale su altro. Per la precisione, la pronuncia impugnata risulta fondarsi: a) sulla mancata contestazione, da parte dell’impresa, degli addebiti formulati dalla Commissione; b) sulla condotta processuale da detta impresa tenuta nel giudizio di merito, in cui Iveco non aveva parimenti contestato i fatti che integravano l’illecito concorrenziale; c) sulle risultanze istruttorie del procedimento tenutosi avanti alla Commissione; d) sulla mancata acquisizione di alcuna prova contraria (che la Corte di appello ha implicitamente ritenuto potesse essere offerta da parte dell’odierna ricorrente).

Tale impianto argomentativo non risulta puntualmente aggredito dalla ricorrente che ha lamentato, in sintesi, l’impropria valorizzazione di un vincolo di conformazione del giudice nazionale rispetto alla decisione della Commissione e all’istruttoria svoltasi avanti ad essa: e tanto porta a ritenere inammissibili i quattro mezzi di censura di cui qui si dibatte>>.

Poi:

<<2.6. – Peraltro, il rilievo attribuito dalla Corte distrettuale ai richiamati elementi – rispetto ai quali, si ripete, non sono state portate specifiche censure – non prospetta, in sé, alcun profilo di illegittimità.

In termini generali, il contegno processuale della parte è sempre suscettibile di essere apprezzato nell’ambito del giudizio civile (art. 116, comma 2, c.p.c.) e determina, anzi, una relevatio ab onere probandi quando si traduce nella mancata contestazione dei fatti allegati da controparte, sempre che questa sia costituita (art. 115, comma 1, c.p.c.).

Il comportamento tenuto dalla ricorrente avanti alla Commissione, consistente nel riconoscimento degli addebiti da questa formulati, si innesta, poi, su di un accertamento preliminare dello stesso organo che è di per sé munito di valore probatorio. Come si è visto, la comunicazione degli addebiti è una fase preparatoria obbligatoria del procedimento di settlement. La formulazione degli addebiti, destinata a tradursi nella decisione finale in caso di adesione alla transazione, riflette un accertamento che ben può essere valorizzato dal giudice nazionale, in assenza di indicazioni contrarie.  (…)

Non si vede, poi, come negare valore agli elementi istruttori acquisiti nel corso del procedimento antitrust avanti alla Commissione, che la Corte di appello ha tenuto in conto sul presupposto – così deve intendersi, non ravvisandosi evidenze e deduzioni di contrario segno – che essi siano refluiti nel giudizio civile di danno. Non esiste alcun limite quanto all’utilizzo probatorio di tali elementi processuali. Questa Corte ha avuto modo già di rilevare che sono senz’altro apprezzabili, da parte del giudice civile, le prove desumibili dagli atti di indagine dell’AGCM nel caso di illecito concorrenziale demandato alla competenza di tale autorità (Cass. 27 febbraio 2020, n. 5381, cit., in motivazione) e tale conclusione è da confermare con riguardo alle risultanze di cui si discorre>>.

Sulla costituzione in mora interruttiva della prescrizione (art. 1219 c. 1 cc): deve esserci chiara manifestazione della volontà di affermare il diritto

Così Cass,. sez. 1 del 19.10.2022 .n. 30.783, rel. Falabella, nella lite per risarcimento danni da abuso di posizione dominante, commesso da V. contro BT Italia.

La domanda di BT era stata accolta in primo grado ma rigettata in appello per prescrizione del diritto.

Questo il passaggio pertinente di Cass. 30.783/2022:

<< La sentenza, sul punto, sfugge a censura, facendo corretta
applicazione del principio, in essa richiamato ─ e a cui il Collegio intende
dar seguito ─, per cui, per produrre l’effetto interruttivo della
prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del
soggetto obbligato, l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la
richiesta scritta di adempimento, che ― sebbene non richieda l’uso di
formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti ― sia idonea
a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far
valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto
sostanziale di costituirlo in mora (Cass. 31 maggio 2021, n. 15140;
Cass. 7 settembre 2020, n. 18546; Cass. 14 giugno 2018, n. 15714;
Cass. 12 febbraio 2010, n. 3371; Cass. 30 novembre 2006, n. 25500;
Cass. 2 agosto 2001, n. 10608). Quest’ultimo requisito non è poi
ravvisabile in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e
di espressa richiesta di adempimento al debitore (Cass. 14 giugno
2018, n. 15714 cit.; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3371 cit.; cfr. pure
Cass. 16 maggio 2014, n. 10789, secondo cui in tema di espropriazione
per pubblica utilità, ove l’Amministrazione espropriante pervenga
all’acquisizione dell’immobile privato mediante cessione volontaria, la
semplice affermazione del diritto alla riliquidazione dell’indennità di
occupazione, indirizzata al debitore unitamente alla richiesta di
informazioni sullo stato della procedura di liquidazione, costituisce una
mera sollecitazione e non integra gli estremi della richiesta o
intimazione di pagamento idonea ad interrompere la prescrizione).
L’istante fa questione della ricorrenza, in concreto, della inequivocabile
manifestazione della volontà ad ottenere il pagamento, per come
desumibile dalla detta comunicazione epistolare; e tuttavia, in linea di
principio, l’inesistenza di tale volontà ben poteva desumersi dalla
portata interlocutoria della comunicazione, che si era limitata ad
auspicare un incontro tra le parti: circostanza, questa, valorizzata dalla
Corte di merito sulla scorta di un accertamento di fatto che sfugge al
sindacato di legittimità; la successiva corrispondenza dell’asserita
creditrice non poteva, poi, di certo sovvertire il portato della
dichiarazione contenuta nella prima comunicazione, giudicata priva
della esplicitazione di una richiesta di pagamento
>>

La decisione pare esatta.

Da un lato la chiarezza di intento affermativo del diritto (individuarlo + manifestare volontà di agire per difenderlo) è l’essenza del concetto di costituzione in mora.

Dall’altro, la missiva disputata parrebbe un pò fiacca, quanto al secondo elemento.