Risarcimento del danno, trasferimento dei profitti e restituzione dell’indebito: brevissime sui rimedi contro la contraffazione brevettuale (art.. 125 cod. propr. ind.)

Mero accenno a temi complessi in Cass. sez. 1 n_ 1692 del 19.01.2023, rel. Valentino D., in tema di risarcimento del danno da violazione brevettuale (a seguito di un lunghissimo processo: fatti del 1992/3 !!)

Premessa generale: <<In generale, è pur vero che questa Corte ha costantemente ribadito che la liquidazione in via equitativa è legittima solo a condizione che l’esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione e che la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché vi sia l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (ex multis Cass., n. 5956 del 2022). Invero, il giudice che opta per tale valutazione deve adeguatamente dar conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum (Cass., n. 12009/2022).

In particolare, però, in tema di lesione del diritto dell’inventore del brevetto questa Corte ha più ribadito che il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale (Cass., n. 5666/2021; Cass., n. 20236/2022).>>

Ricorda poi che <<Questa Corte (Cass., n. 4048 del 2016) aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, “in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un’opera dell’ingegno, non è precluso al giudice il potere dovere di commisurarlo, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall’attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo”.>>

Principio di diritto per il giudice di rinvio:

“In tema di proprietà industriale, in caso di lesione del diritto dell’inventore al proprio brevetto, il danno accertato va liquidato tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito dal contraffattore, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa, che però non è sufficiente a dar conto del suo ammontare a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi e ragionevoli criteri, per la sua liquidazione, allo scopo di giungere a una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale”.

Sentenza non positiva, buttando qua e là senza spiegazione concetti complessi come risarcimento del danno, profitti del violatore e royalty ragionevole.

 Motivazione esiguissima se non inesistente , anche perchè quasi mero collage di propri precedenti senza speigazione del relatore.

Confusione sui concetti di risarcimento del danno e retroversine degli utili in una sentenza di accerttasmento di contraffazione di modelli

Viene data diffusione a Trib. Bologna sez. spec. impr. 26.02.2022 n. 442/2020, Rg 11681/2016, rel. Serra, che decide una lite in tema di violazione di modello (meglio;: disegno, trattandosi di stoffe) comunitario ex reg. 6/2002.

La sentenza fa un pò di confusione nel maneggiare i due concetti in oggetto:

<< 6. Con riferimento al calcolo del risarcimento del danno cagionato dalla condotta illecita fin qui esaminata, l’attrice ha proposto quattro criteri di quantificazione: quello del lucro cessante (relativo al guadagno che avrebbe ottenuto se avesse venduto i capi contraffatti al proprio prezzo di rivendita), quello della retroversione degli utili, quello delle royalties e infine quello equitativo.

Il Collegio ritiene di dover applicare il criterio della retroversione degli utili in quanto, con riferimento al parametro indicato in via principale dall’attrice, è necessario considerare che non ogni vendita del contraffattore si è necessariamente convertita in un mancato acquisto del capo di Teddy spa, soprattutto in virtù del fatto che il prezzo sensibilmente più alto di quest’ultimo (pari al doppio di quello del capo delle convenute) induce a ritenere che una quota di pubblico non lo avrebbe comunque acquistato.
Utilizzando quindi il parametro della retroversione degli utili, si deve procedere sottraendo il prezzo di acquisto del capo all’ingrosso (pari a € 13,00) dal prezzo di rivendita al pubblico (pari a € 48,99).

È necessario altresì sottrarre la quota corrispondente ai presumibili costi sostenuti da Distribuzione Carillo srl per la commercializzazione del capo, che si stimano nel 5% del prezzo di rivendita dello stesso. Il risultato deve poi essere moltiplicato per il numero dei capi contraffatti prodotti da New Melody srl e venduti a Distribuzione Carillo srl (n. 461), posto che i 129 che sono stati restituiti da quest’ultima al produttore non sono stati comunque messi nella disponibilità dell’attrice, come da lei più volte richiesto a ulteriore garanzia del proprio diritto.
Il risultato del predetto calcolo è pari a € 15.462,17, a cui si aggiungono gli interessi e la rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo
>>

Risarcimento del danno è una cosa, retroversione degli utili è un’altra (pena privata o arricchimento senza causa). Lo si desume anche dal tenore dell’art. 125 cpi, pur se  mal scritto.   La confusione è stata probabilmente favorita dall’attore, che aveva unificato i quattro concetti come meri criteri possibili per determinare il risarimento del danno.

Altro punto.  Alla differenza tra costo di acquisto e prezzo di vendita sottrae i costi di distribuzine: nessun cenno, però,  a come siano stati determinati nè all’esistenza di  altri costi (generali) da conteggiare. Non a caso , credo, non si menziona alcuna ctu (forse non disposta per l’esiguità degli importi)

Il risarcimento del danno da violazione di disegno comunitario e non registrato (ovvero: sull’art. 125 cod. propr. ind.)

Nella lite Diesel v. Zara, si pronuncia con sentenza 5877/2022 del 5 luglio 2022, Rg 22303/2022 il Trib. Milano, rel. Marangoni, con interessanti considerazioni .

Si tratta di sentenza determinativa del danno, dopo la precedente condanna generica .

1) la rinuncia alla iniziale di domanda di risarcimento del  danno, a favore di quella di retroversione degli utili ex 125 c.3 cpi, deve essere espressa. E tale non è l’espressione << “La quantificazione di tale danno dovrà avvenire ex art. 125 CPI, ovvero in funzione: 1) degli utili indebitamente realizzati dal violatore del diritto (retroversione degli utili);…” (pag. 24 atto di citazione) >>  usata in citazione (segue distinguo tra il risarcimento del danno e il trasferimento degli utili).

2) il mancato calo di fatturato dell’aggredito non esclude il danno: esso infatti può consistere nel suo mancato incremento: <<Nel caso di specie la commercializzazione dei prodotti ritenuti in contraffazione dei titoli di privativa
di pertinenza delle società attrici risulta essere stata eseguita dalle convenute su larghissima scala
internazionale, come dimostrano i dati innanzi riportati con particolare riguardo per il modello di
jeans
ritenuto in contraffazione.
Tali dati pongono dunque in diretta evidenza la sussistenza di un danno a carico delle parti attrici, che
hanno quantomeno sofferto una effettiva diminuzione del potenziale delle loro vendite dei prodotti
originali per effetto della larga diffusività dell’attività delle società convenute oltre che un effetto di
diluizione delle caratteristiche peculiari dei modelli (registrati e non) ritenuti contraffatti.
Seppure sia evidente che non si possa presumere che ogni vendita realizzata dal contraffattore sia una
vendita non realizzata dal titolare del diritto, in ogni caso la valutazione dei dati di vendita conseguiti
dalle convenute appare elemento importante ai fini di valutare l’entità del danno risarcibile
>>.

Non è però chiaro dove stia la <diretta evidenza>

3) Non è pertinente estendere la ctu al bilancio consolidato, perchè qui ci son dati troppo generici in quanto non riferiti ai prodotti contraffatti e inoltre largamente riferiti a vendite extra UE : <<Invero l’utilizzazione a tali fini del bilancio consolidato di gruppo – secondo il CTU – non sarebbe
possibile in quanto il livello di approssimazione cui la sua analisi condurrebbe risulterebbe troppo
elevato, posto che nel bilancio consolidato non sono riportate informazioni atte a determinare la
marginalità di ciascuna linea di prodotto o addirittura – come per il caso di specie – relative ad un
singolo prodotto. Il bilancio consolidato mostra infatti la migliore rappresentazione economicopatrimoniale e finanziaria dell’andamento di un gruppo ma sono solo i bilanci separati di ciascun
soggetto ad esso appartenente – che mantiene comunque la sua autonomia giuridica e contabile –
rappresentano l’attività della società stessa.
Inoltre, senza disporre delle informazioni di dettaglio utilizzate per la formazione del bilancio
consolidato non sarebbe possibile identificare e quindi isolare anche significativi effetti dovuti alle
interessenze di terze economie, oltre ai rapporti infragruppo, con il rischio dunque di utilizzare elementi
informativi non congruenti con lo scopo dell’analisi proposta dalle parti attrici, posto che tale
strumento appare predisposto e finalizzato ad altri fini informativi e rappresentativi del gruppo stesso.
A tali considerazioni possono aggiungersi ulteriori elementi critici rispetto alla possibilità di
determinare un MOL consolidato riferibile ai soli due prodotti in contestazione (di cui il sandalo appare
peraltro avere avuto una diffusione del tutto minima).
Va infatti rilevato che il gruppo Zara ha una vastissima diffusione mondiale attraverso le sue numerose
società controllate, dislocate nei vari Paesi europei ed extraeuropei. Esso opera in decine e decine di
mercati diversi ed anche
online.
Ciò comporta logicamente che per una grandissima parte dei mercati ove essa opera tramite le sue
controllate – e cioè per i Paesi extraeuropei – la vendita dei prodotti contestati si sarebbe svolta in
assenza di diritti delle società attrici validamente opponibili, tenuto conto del perimetro di territorialità
proprio dei titoli europei ritenuti violati che è necessariamente limitato agli Stati membri dell’Unione
Europea. Di conseguenza gli utili conseguiti dalle società controllate aventi sede ed operatività al di
fuori dell’Unione Europea non potrebbero essere inclusi nei benefici (illeciti) conseguenti all’attività di
contraffazione
>>.

4) vanno addebitate alla capogruppo (operava come centrale di acquisto)  non solo le sue vendite alle comntrollate, ma anche quelle operate dalle controllate nelle successive fasi di commercializzazione. Va infatti ravvisata una compartecipazine agli illeciti commessi dalle controllate (ex art. 2055 cc, direi: ma il Trib. non lo menziona): << Tale orientamento appare nel caso di specie fondato sulla considerazione che la società capogruppo
INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA ha materialmente posto in essere la fase iniziale dell’illecito –
acquisendo in maniera centralizzata i prodotti contraffatti e provvedendo alla loro distribuzione in sede
locale tramite le società controllate – e che pertanto il suo contributo ha posto in essere una causa
immediata e diretta anche degli ulteriori danni derivanti dalla distribuzione dei prodotti al consumatore.
Pare particolarmente evidente nel caso di specie l’esistenza di un’unità di comportamento sul mercato
tra società madre e società controllate, posto che – oltre al rapporto di controllo azionario – sussiste un
centro unitario decisionale (la centrale d’acquisto costituita da INDUSTRIA DE DISENO TEXIL SA)
cui corrisponde una correlativa unità di imputazione delle scelte strategiche e dei comportamenti attuati
dai vari appartenenti al gruppo al di là della forma giuridica autonoma che comunque la giurisprudenza
comunitaria non ritiene ostativa all’applicazione delle norme sulla concorrenza (si veda in particolare
Corte di Giustizia CE, causa C-724/17, sentenza 14 marzo 2019, Skanska Industrial Solutions, che
seppure emessa in un contesto relativo a pratica anticoncorrenziale ha affermato che la responsabilità
civile conseguente appare comunque riconducibile a tutte le società che costituiscono una “
unità
economica”
, secondo una teoria dell’unità economica che risulta ormai consolidata in ambito europeo).
La parzialità dei dati a disposizione del Tribunale – che non possono obbiettivamente essere oggetto di
ulteriori integrazioni ed approfondimenti che risulterebbero per il numero delle società coinvolte di
estrema complessità e di esito sostanzialmente incerto – consente tuttavia di provvedere alla
liquidazione del danno “…
in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle
presunzioni che ne derivano”
(art. 125, comma 2 c.p.i.
>>

Sui rimedi offerti dall’art. 125 c.p.i. in caso di violazione di brevetto, a seguito di sua limitazione ex art. 79 c.p.i.

Trib. Torino 18.05.2021, sent. n. 2464/2021 –  RG 4520/2016, rel. Vitrò, offre interessanti consideraizoni sull’oggetto.

E’ curioso innanzitutto quanto il giudice entri nei dettagli tecnici dell’invenzione.

Poi, è di interesse la limitazione brevettuale operata in corso di causa e la sua efficacia ex tunc, che permette di considerare valido il brevetto, di accertarne dunque la violazione e di impartire i comandi conseguenti , p. 26 (l’istituto della limitazione è esaminato con buon dettaglio).

Quanto all’art. 125 cpi, il Trib. fa presente che il c. 2 (royalty ragionevole) è determinazione minima del danno, p. 28. La formulazione della disposizione non è perspicua ma probabilmente il T. ha ragione.

Il tasso medio di royalty è del 4% , secondo il ctu Ranalli, pp. 30-31. Stranamente non è specificato su cosa si applichi la percentuale: di solito è sul fatturato.

La parte più interessante, infine, è quella sulla retroversione degli utili ex art. 125 c.3 cpi (sub § 3.4).

Due sono i punti più significativi: 1) questione del prodotto multicomponente o complesso e 2) determinazione degli utili  (sul fatturato), oggetto di assegnazione alla vittima.

1) Qui si pone il problema della loro determinazione in caso di prodotto complesso, quando la violazione riguardi solo una componente e non il tutto. Problema poco esaminato da noi ma oggetto di ampio esame nella letteratura statunitense.

Il T. approva l’idea del ctu di scorporare il corrispettivo riferito alla componente in violazione dal resto, p. 34. Il criterio per lo scorporo è mobile , essendo dato dal rapporto tra costo industriale del complessivo e quello della componente in violazione: <<(ii) determinazione per ciascuna fattura di vendita del rapporto tra costo industriale complessivo del compressore e costo industriale complessivo del prodotto complesso, sul presupposto che il coefficiente risultante dal rapporto di tali grandezze sia in grado di esprimere l’incidenza del fatturato riferibile al singolo compressore rispetto a quello del prodotto complesso; >>, p. 34 (non viene però indicata questa percentuale in termini  numerici, con qualche problema sulla sufficienza motivatoria della sentenza).

2) Su fatturato del prodotto in violazione così determinato, bisogna togliere i costi per determinare l’utile: <<Identificato il fatturato, l’utile ricavato dal contraffattore va individuato nella differenza tra il valore del fatturato generato dal prodotto in contraffazione e il totale dei costi incrementali (ossia dei costi variabili direttamente imputabili alla produzione e commercializzazione dei prodotti in contraffazione, con esclusione in linea di principio dei costi generali e commerciali). Generalmente i costi variabili sono quelli che dipendono dall’aumento del produzione (sia diretti: materie prime, lavoro, imballi, trasporto, ecc.; sia indiretti: energia e altri materiai di consumo), senza dunque considerare i costi fissi, le svalutazioni, gli ammortamenti, gli accantonamenti, le componenti finanziarie e straordinarie >>, p. 34-5 (si v. i passi riportati dalla ctu per maggior dettaglio).