Doveri del sindaco di società ed eccezione di inadempimento sollevata dalla società fallita di fronte alla sua richiesta di ammissione al passivo per il compenso

Cass. ord. Sez. 1 n. 3459 del 07.02.2024, rel. DONGIACOMO GIUSEPPE:

Il giudice a quo:

<<Il tribunale, infatti, ha ritenuto la fondatezza
dell’eccezione d’inadempimento sollevata dal Fallimento sul
duplice rilievo per cui, da un lato, gli addebiti posti a fondamento
della stessa, vale a dire l’“omessa vigilanza della rilevazione
della causa di scioglimento della società amministrata, a causa
della perdita del capitale sociale … occultata tramite la falsa
esposizione nei bilanci … di valori fittizi degli assets immobiliari
…”, “risultano compiutamente descritti e trovano riscontro nella
abbondante documentazione prodotta in atti” e, dall’altro lato,
che l’opponente, a fronte di tale eccezione, non aveva
adempiuto all’onere di provare “l’esatto e completo
adempimento delle prestazioni contrattualmente dedotte”>>.

La SC:
<<4.3. Il tribunale, così ragionando, si è attenuto ai principi
ripetutamente esposti da questa Corte, e cioè che il curatore del
fallimento della società committente, nel giudizio di
verificazione conseguente alla domanda di ammissione del
credito vantato dal professionista (come il sindaco della società
poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti
della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione
d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la
corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i
canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a
dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle
circostanze del caso (come “la falsa esposizione nei bilanci … di
valori fittizi degli assets immobiliari …” e il conseguente
l’occultamento “della perdita del capitale sociale”, che ha
specificamente dedotto e altrettanto doverosamente
documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto
al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto,
avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto, e cioè la
tempestiva “rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata”), la negligente o incompleta esecuzione, ad
opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza
dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di
dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal
curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la
rispondenza della sua condotta al modello professionale e
deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è
intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del
2021).
4.4. In tema di prova dell’inadempimento di
un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per
l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero
per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del
suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla
mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della
controparte [incongfruenza: poche righe sopra aveva detto “dedotte e provate”], mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere
della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito
dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001).
4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere
della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto
si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione
d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore
eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o
l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore
(di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando,
per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver
esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del
2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n.
3527 del 2021).
4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco
della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo,
dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato)
del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla
pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per
paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di
totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da
parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è
accaduto nel caso in esame, l’“omessa vigilanza della
rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”), con, appunto, il solo onere di
allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha
l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo
dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art.
2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di
provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto
esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato
sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza
professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione
concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma
1°, c.c.)>>.

Prosegue la SC:

<<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento
dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle
attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto,
l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta
in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni
altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione)
che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare,
degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi,
non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi
di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di
un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza
sull’amministrazione della società e le relative operazioni
gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.,
per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di
responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso
che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il
fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme
che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale
onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità,
restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver
avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in
essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami,
indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”)>>

E subito dopo:

<<.Il decreto impugnato ha fatto corretta applicazione
degli esposti principi, dal momento che il Fallimento ha dedotto
un circostanziato inesatto adempimento (e cioè la mancata
“rilevazione della causa di scioglimento della società
amministrata, a causa della perdita del capitale sociale …
occultata tramite la falsa esposizione nei bilanci … di valori fittizi
degli assets immobiliari …”) ai compiti della carica, laddove, per
contro, il sindaco opponente (senza contestare l’insussistenza
di tali presupposti e i doveri giuridici che se conseguono), come
accertato in fatto dal tribunale, non ha, a sua volta, fornito la
prova di aver correttamente adempiuto.
4.9. Non può, in effetti, seriamente dubitarsi che i
sindaci (i quali, infatti, in caso d’inadempimento da parte degli
amministratori, sono legittimati ad agire in giudizio innanzi al
tribunale: artt. 2485, comma 2°, e 2487, comma 2°, c.c.)
abbiano (anche se si tratta di società quotate: cfr. l’art. 154,
comma 1, del d.lgs. n. 58/1998) il dovere di vigilare sul corretto
e tempestivo adempimento da parte degli amministratori
all’obbligo di rilevare tempestivamente la verificazione di una
causa di scioglimento della società, come la perdita del capitale
sociale (art. 2484, n. 4, c.c.), e di procedere alla relativa
iscrizione nel registro delle imprese (art. 2485, comma 1°, c.c.),
e che, in difetto, a prescindersi dalla dannosità o meno di tale
inosservanza, la società (o, in caso di fallimento, il suo curatore)
sia legittimata ad eccepire l’inadempimento a tale dovere per
escludere l’obbligo (e l’insinuazione al passivo del relativo
credito) al pagamento del compenso, in ipotesi, maturato.
4.10. Nelle società quotate, anzi, il dovere di vigilanza
sancito dall’art. 2403 c.c. non è circoscritto all’operato degli
amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera
gestione dell’ente in modo ancora più stringente, considerata
l’esigenza di garantire l’equilibrio del mercato (Cass. n. 1601 del
2021).
4.11. L’eccezione d’inadempimento, che può essere
dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, (salvo il
limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è, del
resto, subordinata alla presenza degli stessi presupposti
richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento
dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass.
n. 12719 del 2021).
4.12. Quanto al resto, non può che ribadirsi come la
violazione dell’art. 2697 c.c. si configura solo nell’ipotesi in cui
il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte
diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta
norma e non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto,
com’è accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice
abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto
(in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad
opera della parte (e cioè, nel caso in esame, il creditore
opponente) che ne era gravata in forza della predetta norma,
che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti
previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020;
Cass. n. 13395 del 2018)>>.

I doveri del sindaco di società e l’onere probatorio della loro violazione da parte della curatela fallimentare (anche solo come eccezione di inadempimento alla richiesta di pagamento del compenso)

Cass.  Sez. I del 24/01/2024, n. 2.350, rel. Dongiacomo, con passaggi di un certo interesse:

sul secondo punto:

<<4.2. Il tribunale, infatti, pur avendo (correttamente) affermato che la vigilanza dei sindaci non si estende alla verifica della convenienza delle scelte gestionali degli amministratori, dovendo, piuttosto, riguardare la legittimità delle scelte e la correttezza dei procedimenti decisionali seguiti dagli stessi, ha ritenuto l’infondatezza dell’eccezione d’inadempimento con la quale il Fallimento aveva dedotto la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni gestorie compiute dagli organi di gestione, limitandosi a rilevare, per un verso, che non era emersa la necessaria incidenza causale tra le omissioni imputate allo stesso e l’evento lesivo consistito nell’aumento indebito della massa passiva, e, per altro verso, che il collegio sindacale, come si evince dal contenuto delle verifiche svolte e dalle relazioni periodiche predisposte dagli stessi, aveva preso effettivamente atto dell’incremento dell’indebitamento e degli insoluti via via maturati, invitando il consiglio di amministrazione ed il socio di maggioranza ad effettuare concreti interventi finanziari e manifestando sempre la propria preoccupazione per l’equilibrio finanziario della società.

4.3. Il tribunale, tuttavia, ha, in tal modo, illegittimamente omesso di considerare, così cadendo nel vizio di falsa applicazione delle norme invocate dal ricorrente, come in precedenza indicate, il principio, che questa Corte ha ripetutamente affermato, secondo il quale il curatore del fallimento della società committente, nel giudizio di verificazione conseguente alla domanda di ammissione del credito vantato dal professionista (come il sindaco della società poi fallita) al compenso asseritamente maturato nei confronti della stessa, è legittimato a sollevare l’eccezione d’inadempimento (anche nel caso in cui si fosse prescritta la corrispondente azione: art. 95, comma 1°, l.fall.) secondo i canoni diretti a far valere la responsabilità contrattuale: vale a dire con il (solo) onere di contestare, in relazione alle circostanze del caso (come le operazioni gestorie, asseritamente contrarie ai principi di corretta amministrazione, che ha specificamente dedotto e altrettanto doverosamente documentato in giudizio quali fatti storici che avrebbero imposto al sindaco la condotta che, in relazione al mandato ricevuto, avrebbe dovuto tenere e non ha, invece, tenuto), la negligente o incompleta esecuzione, ad opera del professionista istante, della prestazione di vigilanza dovuta, restando, per contro, a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare, a fronte delle circostanze dedotte e provate dal curatore, di aver, invece, esattamente adempiuto per la rispondenza della sua condotta al modello professionale e deontologico richiesto in concreto dalla situazione su cui è intervenuto con la propria opera (cfr. Cass. SU n. 42093 del 2021).

4.4. In tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, infatti, il creditore che agisca per l’adempimento (oltre che per la risoluzione contrattuale ovvero per il risarcimento del danno) deve soltanto provare la fonte del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SU n. 13533 del 2001)

4.5. Si tratta, peraltro, di un criterio di riparto dell’onere della prova applicabile anche al caso in cui il debitore convenuto si avvalga, com’è accaduto nel caso in esame, dell’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. poiché il debitore eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore (di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando, per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alle stesse (Cass. SU n. 13533 del 2001; Cass. n. 3373 del 2010; Cass. n. 826 del 2015; Cass. n. 3527 del 2021).

4.6. Pertanto, ove il preteso creditore (come il sindaco della società fallita) proponga opposizione allo stato passivo, dolendosi dell’esclusione di un credito (al compenso maturato) del quale aveva chiesto l’ammissione, il Fallimento, dinanzi alla pretesa creditoria azionata nei suoi confronti, può sollevare, per paralizzarne l’accoglimento in tutto o in parte, l’eccezione di totale o parziale inadempimento o d’inesatto adempimento da parte dello stesso ai propri obblighi contrattuali (e cioè, com’è accaduto nel caso in esame, la “carenza di vigilanza” da parte del sindaco opponente in ordine ad alcune operazioni compiute dagli amministratori, dal curatore eccipiente dedotte e documentate, in quanto, a suo dire, “contrarie al principio di corretta amministrazione”), con, appunto, il solo onere di allegare, in relazione alle circostanze di fatto del caso (che ha l’onere di provare), l’inadempimento del sindaco istante (al suo dovere di vigilanza sull’attività di gestione della società: art. 2403, comma 1°, c.c.); spetta poi a quest’ultimo il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.)>>.

sul primo punto:

<4.7. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie (cfr., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motiv., per cui “l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale”).

4.8. Né, d’altra parte, può rilevare il fatto il fatto che le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle che gravano sui componenti del collegio sindacale, sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato.

4.9. È senz’altro vero, infatti, che il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato (come, nel caso del sindaco, la legittimità e la correttezza dell’intera gestione sociale) ma non anche a conseguirlo e che l’inadempimento del professionista non può essere, pertanto, desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dalla società committente, dovendo essere, piuttosto, valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale ed, in particolare, al dovere di diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2°, c.c. (e, nel caso del sindaci, dall’art. 2407, comma 1°, c.c.).

4.10. È anche vero, tuttavia, che il diritto del professionista al compenso (che nel caso dei sindaci è previsto dall’art. 2402 c.c. e dev’essere corrisposto anno per anno: Cass. n. 6027 del 2021), se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (e cioè la legittimità dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione: art. 2403, comma 1°, c.c.), richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in difetto di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato (per la mancanza, ad esempio, di danno che ne sia conseguito), non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso (cfr. Cass. n. 36071 del 2022, in motiv.) e giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.

4.11. L’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere, di conseguenza, opposta dal cliente (o dal curatore del relativo fallimento) al professionista (come il sindaco) che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale quando le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dal mancato conseguimento del risultato perseguito, non sono state, per la negligenza con cui sono state eseguite, oggettivamente funzionali, in tutto o in parte, alla soddisfazione degli interessi del primo, così come dedotti, per volontà delle parti o (come nel caso dei sindaci) della legge, nel contratto di prestazione d’opera professionale tra loro intercorso ed abbiano, di conseguenza, negativamente inciso sulla effettiva realizzazione(o possibilità di realizzazione) degli stessi (cfr. Cass. n. 13207 del 2021).

4.12. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, in effetti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali (Cass. n. 2772 del 1999; Cass. n. 5287 del 1998; più di recente, in tema di sanzioni amministrative, Cass. n. 1601 del 2021): né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.

4.13. Il compito essenziale dei sindaci, infatti, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall’art. 1176, comma 2°, c.c., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale.

4.14. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d’inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

4.15. Come questa Corte ha di recente ribadito, infatti, da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative, a partire dalla richiesta di informazioni o di ispezione ai sensi dell’art. 2403-bis c.c., può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, avendo, piuttosto, il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Così come, dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate, dunque anche ex artt. 2446 e 2447 c.c.), il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite (ai sensi di tali disposizioni), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia (ove proponibile) al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale ed altre simili iniziative (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.16. La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2°, c.c. non richiede, del resto, l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere [invece si!!!, nds], essendo, piuttosto, sufficiente che gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere, ove possibile, ai sensi dell’art. 2409 c.c. (cfr. Cass. n. 32397 del 2019; Cass. n. 16314 del 2017; Cass. n. 13517 del 2014).

4.17. D’altra parte, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati: e senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri acquista efficacia causale dato che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge e ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.18. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo, i sindaci hanno, dunque, l’obbligo di porre in essere, con debita tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con la dovuta diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali) di sollecitazione e denuncia, diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.).

4.19. Né del resto può rilevare il fatto che il collegio sindacale abbia in tutto o in parte ignorato le operazioni gestorie compiute dagli amministratori; la colpa, infatti, può consistere tanto in un difetto di conoscenza, quanto in un difetto di attivazione: – sotto il primo profilo, il sindaco è in colpa per non aver colposamente rilevato l’altrui illecita gestione: dove, però, non è affatto decisivo che nulla traSpaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni; – sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché l’organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita: l’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, è dunque in sé colpevole: e il disinteresse è già indice di colpa [vero ma scontato, nds] (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.; Cass. n. 24170 del 2022, la quale, in materia di sanzioni amministrative, ha osservato come il comportamento inerte dei sindaci integra la mancata adeguata vigilanza da parte degli stessi sulla condotta degli amministratori tutte le volte in cui fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse).

4.20. E neppure è sufficiente per escludere l’inadempimento dei sindaci il fatto di essere stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi ove gli stessi abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori: nello stesso modo in cui le dimissioni presentate, ove non fossero accompagnate anche da concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti gestori, non escludono l’inadempimento del sindaco posto che, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato, la diligenza richiesta al sindaco impone, piuttosto, un comportamento alternativo e le dimissioni diventano, anzi, sotto questo profilo, esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità (Cass. n. 18770 del 2019).

4.21. E neppure, infine, può rilevare il fatto che, come invece affermato dal tribunale, l’inadempimento contestato al sindaco non abbia arrecato un danno alla società committente: l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita, infatti, a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere (in tutto o in parte) in favore dell’altro contraente che a sua volta non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione e, dunque, (salvo il limite della buona fede: Cass. n. 1690 del 2006) non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto (cfr. Cass. n. 12719 del 2021)>>.