Cass. sez. I, Ord. 18.10.2024, n. 27.043, rel. Parise:

Regola astratta

<Secondo il più recente orientamento di questa Corte, invero, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa (Cass. S.U. 32198/2021 ; Cass. 14256/2022). Infatti, alla luce delle Sezioni Unite n. 18287/2018 e n. 32198/2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

È stato altresì precisato che, ai fini della revoca dell’assegno divorzile, la convivenza more uxorio instaurata dall’ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche e reciproci obblighi di assistenza morale e materiale, gravando l’onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023) [solo che con la convivenza di fatto non nasce alcun obbligo, nemmeno dopo la L. 76/2016!!!!]. Si è affermato che il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. 14151/2022).

La coabitazione, dunque, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo”. Occorre, comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal primo comma dell’articolo 2729
c.c.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729
c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio. Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche e, come si è detto, il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno (Cass. 3645/2023citata)>>.

Applicata al caso de quo:

<<2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è attenuta ai suesposti principi e, con motivazione congrua (Cass. S.U. 8053/2014), ha accertato che “gli elementi emersi, pacificamente assente la stabile convivenza (C.C. peraltro vive a R e non a P), non documentano con sufficiente certezza la formazione di una famiglia di fatto, non essendo prova sufficiente di una sostanziale comunione e condivisione di vita e di impegni economici i viaggi e le vacanze estive della coppia, la frequentazione domestica, documentata occasionalmente, né la dazione di somme di denaro nel periodo (marzo 2010 – 2018) in cui A.A. non le versava gli assegni (circostanza che aveva indotto la controparte ad iniziare azioni esecutive sulle quote delle società di famiglia del A.A., abbandonate dopo il pagamento da questi effettuato con denari provenienti da una eredità pervenutagli dalla madre), e che dopo tale pagamento la B.B. ha iniziato a parzialmente restituire come da documentazione prodotta già in primo grado”.

Dunque, contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito non ha valorizzato solo la mancata coabitazione, ma ha valutato il compendio probatorio complessivo, pervenendo alla conclusione della mancata dimostrazione in causa della “famiglia di fatto”. Va ribadito che è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza, o della non ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216/2006; Cass. 15219/2007; Cass. 656/2014; Cass. 1792/2017, che ha affermato come il risultato dell’ accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che è invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987/2018; Cass. 1234/2019, ove si è ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 , comma 1, n. 5, c.p.c.). È stato altresì chiarito, a tale riguardo, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 , n. 3, c.p.c. per violazione della norma dell’art. 2729 c.c., la critica non può svolgersi mediante argomentazioni dirette ad infirmare la plausibilità della ricostruzione del fatto da parte del giudice di merito (Cass. 18611/2021), come, invece, è nella specie, poiché il ricorrente in buona sostanza si limita a criticare la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla Corte di merito (secondo motivo)>>.

la sopravvenuta stabile convivenza è causa di revisione dell’assegno divorzile

Cass. sez. I, ord. 30/04/2024 n. 11.627, rel. Meloni, sull’art. 8 legge divorzio:

<<Nel caso in esame la Corte d’appello ha ampiamente motivato in ordine al presunto giudicato: ” ritiene la Corte che il provvedimento impugnato debba essere confermato posto che si rilevano circostanze sopravvenute e provate dalla controparte tali da alterare l’equilibrio raggiunto e accertato in precedenza dal medesimo Tribunale nell’ambito del processo di divorzio, la cui sentenza è stata impugnata e poi confermata dalla Corte di Appello e, successivamente, anche dalla Suprema Corte di Cassazione, ma, a differenza di quanto sostenuto dalla reclamante, non ha delibato l’aspetto della consolidata convivenza con il Bu.Fr., che costituisce dunque l’elemento nuovo che ha legittimato la revoca dell’assegno divorzile ivi riconosciuto in suo favore: nella sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio si era fatto invece riferimento ad una precedente relazione della Gi.An., che però era da poco cessata e si fa cenno in sede di appello all’inizio di una nuova convivenza, che all’epoca dunque non era consolidata. Ed invero, la produzione dei documenti significativi della stabilità della convivenza in sede in primo grado è avvenuta in occasione dell’udienza di trattazione e comunque di questi ha preso atto il legale della reclamante che a verbale ha dichiarato di non contestarli dovendo rilevarsi che ben poteva interloquire sul punto chiedendo un termine per note sicché la produzione non può ritenersi irrituale alla luce della libertà delle forme di cui ai procedimenti di volontaria giurisdizione. In buona sostanza un elemento nuovo c’è che giustificherebbe la modifica delle condizioni di divorzio e cioè la stabile convivenza della reclamante con il Bu.Fr., che dura da moltissimi anni, tanto che gli accertamenti prodotti sono stati fatti da un’agenzia investigativa nel corso di 12 anni, ed è significativo che egli stesso abbia ricevuto la notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado qualificandosi come persona di famiglia convivente, mentre a nulla rileva a questi fini che questi mantenga la residenza anagrafica in altro Comune. Da un lato, quindi, abbiamo una relazione di convivenza stabile, un nuovo progetto famigliare che dura da anni e che non può essere messo in discussione e deve ritenersi elemento nuovo rispetto alla sentenza di divorzio.”. Sulla base di tali sovrani accertamenti di merito, non è né illogico né irrazionale concludere – come ha fatto la Corte territoriale – che, nel caso, era venuta del tutto meno la componente relativa alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile.

Con riguardo alla componente compensativa, la Corte ha così motivato:” come ha osservato il Tribunale di Pescara, la ricorrente non ha fornito elementi, già in occasione della causa di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di aver contribuito alla comunione familiare, così come nella memoria difensiva, dovendosi ritenere all’uopo certamente non sufficiente il dato del mancato svolgimento di attività lavorativa, avendo in proposito la Suprema Corte evidenziato (Cass. n. 21228/2019, richiamata dalle Sezioni Unite sopra citate) che il giudice di merito non potrà nemmeno presumere, puramente e semplicemente, che il non aver uno dei due coniugi svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una scelta comune dei coniugi e neppure che il non aver svolto attività lavorativa abbia di per sé sicuramente giovato al successo professionale dell’altro coniuge”.

I motivi proposti nel presente ricorso, pertanto, non sono idonei a censurare tali passaggi argomentativi che costituiscono accertamenti di merito non rivalutabili in questa sede>>.

Ancora su assegno di mantenimento e convivenza more uxorio

Cass. sez. I, ord.  12/03/2024  n. 6.443, rel. Tricomo:

<<3.2.- Come chiarito nei precedenti di legittimità (Cass. n.3645/2023 e Cass. n. 14151/2022, Cass. n.34374/2023, in motivazione), la coabitazione assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non è di per sé decisivo” e la Corte di appello si è attenuta a tale principio, perché non si è limitata a valorizzare la circostanza dell’assenza di coabitazione, ma ha affermato che non risultava provato nemmeno un progetto comune di vita.

Orbene, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, occorre che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’art. 2729 cod.civ.: il giudice è quindi tenuto, perché è la stessa norma dell’art. 2729 cod.civ. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198/2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

3.3.- La Corte d’appello si è attenuta a detti principi ed ha individuato plurimi elementi sintomatici dell’instaurazione di una relazione affettiva stabile e duratura (relazione investigativa confermata dal titolare dell’Agenzia, materiale fotografico documentante atteggiamenti intimi non meramente amicali, ruolo assunto da Cr. nella gestione del conto corrente intestato alla Ca.Sa., partecipazione di Cr. all’asta per la vendita dell’immobile di cui gli ex coniugi erano proprietari, acquisizione da parte di Ca.Sa. del diritto di abitazione dell’immobile di proprietà di Cr. per sua cessione, prove testimoniali, etc.), non utilmente elisi dalle avverse deduzioni della ricorrente, elementi che manifestano l’esistenza – non contestata – di un legame affettivo e di un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

3.4.- A fronte di tali accertamenti in fatto, il ricorso tende evidentemente ad una rivalutazione del merito. (…)  . Va, inoltre, ribadito che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto (Cass. n. 29730/2020; Cass. n. 3601/2006)>>.

E poi sull’an e quantum in generale:

<<4.2.- Com’è noto, la giurisprudenza più recente di questa Corte (Cass. Sez. U. n. 18287/2018) ha stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.

I criteri attributivi e determinativi dell’assegno divorzile non dipendono, pertanto, dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale, il cui accertamento è necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma 6, prima parte, l. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita assistenziale e perequativo-compensativa di detto assegno (Cass. n. 32398/2019).

II giudizio deve essere espresso alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La natura perequativo-compensativa, poi, discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo, volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate.

In altre parole, il giudice del merito è chiamato ad accertare la necessità di compensare il coniuge economicamente più debole per il particolare contributo dato, durante la vita matrimoniale, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge, nella constatata sussistenza di uno squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi che trovi ragione nelle scelte fatte durante il matrimonio, idonee a condurre l’istante a rinunciare a realistiche occasioni professionali-reddituali, la cui prova in giudizio spetta al richiedente (Cass. n. 9144/2023; Cass. n. 23583/2022; Cass. n. 38362/2021).

Infine, qualora – come nel caso di specie – sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa, dovendo fornire la prova secondo i criteri già indicati (Cass. Sez. U. n. 32198/2021)>>.

La componente assistenziale e quella compensativa dell’assegno divorzile restano ben distinte per la Cassazione

Cass. Sez. I, Ord. 08/03/2024, n. 6.253, rel. Lamorgese:

Fatti provati:

<<2.2. In relazione alla censura espressa con il primo motivo, occorre rilevare che la Corte di merito ha fondato la prova presuntiva sulla relazione investigativa, il cui contenuto – confermato dal teste, anche se non da lui sottoscritta – è stato riprodotto nel provvedimento impugnato, sull’ammissione della stessa ricorrente di avere una relazione sentimentale, nonché sulla dettagliata dichiarazione della figlia della coppia, che aveva riferito di avere conoscenza della relazione di convivenza della madre con un nuovo compagno dall’anno della separazione.

L’accertamento di una stabile convivenza della donna con un altro uomo è stato, pertanto, effettuato sulla base di diversi elementi indiziari convergenti, tali da dare vita ad una valida prova per presunzioni, sicché non ricorre affatto il vizio di violazione di legge denunciato>>.

Diritto:

<<2.3. Ciò posto, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge e l’assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022; cfr. pure Cass. 3645/2023).

E’ stato, dunque, precisato che la sussistenza della componente compensativa deve essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all’assegno, mentre la Corte d’appello ha affermato che l’odierna ricorrente non aveva provato nulla al riguardo. A fronte di detto assunto, con il secondo motivo la ricorrente, nel richiamare le deduzioni svolte nel giudizio d’appello, anche in ordine alla durata del matrimonio e alla cura delle figlie (pag. 7 e pag. 22 ricorso), in particolare rimarca il proprio contributo alla realizzazione del patrimonio familiare, consistito nell’acquisto della casa familiare, che, tuttavia, in base a quanto si legge nello stesso ricorso, è in comproprietà tra gli ex coniugi pur se abitata dall’ex marito (pag.7), e altresì consistito nell’aver ella prestato in passato attività di lavoro presso terzi (pag.23 ricorso), ossia di collaboratrice domestica, cessata per problemi di salute (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata)>>.

Solo che l’efficacia estintiva del diritto all’assegno, asseritamente prodotta dalla convivenza more uxorio, non è disposta dalla legge.

E  nemmeno vi è ricavabile  interpretativamente, dato che certo non si può equipararla alle “nuove nozze” di cui al medesimo art. 5 l. div. co. 10.

Del resto la legge 76/2016 su unioni civili e convivenze non ha modificato tale disposizione , mentre avrebbe potuto e dovuto dato che si occupava proprio del tema de quo.

La convivenza stabile fa cessare l’assegno di mantenimento da separazione

Cass.  Sez. I, Ord. 12/12/2023, n. 34.728, rel. Russo:

<<La Corte d’appello di Lecce ha fatto discendere la revoca dell’assegno di mantenimento direttamente dalla circostanza che si è accertato che in talune notti, nell’estate del 2019, il predetto C.C. ha pernottato nell’abitazione della ricorrente, ritenendo accertata la “relazione affettiva” tra i due e senza altro aggiungere se non un poco chiaro riferimento al difetto di “allegazioni specifiche in merito alla occasionalità di essa”.

Si tratta quindi di una motivazione al di sotto del c.d. minimo costituzionale, che non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio (si veda Cass. n. 13248 del 30/06/2020) in quanto non spiega le ragioni per le quali si è ritenuto che dagli elementi di fatto accertati si potesse desumere non già una semplice relazione affettiva, ma la convivenza, o comunque una relazione di tipo familiare, tale da comportare l’assistenza morale e materiale tra le parti.

Questa Corte ha invero affermato che in presenza di una convivenza stabile si deve presumere che le risorse economiche vengano messe in comune, salvo la prova contraria data dall’interessato (Cass.16982/2018). E però, perchè possa legittimamente farsi ricorso a detta presunzione, occorre preventivamente accertare che si tratti di una relazione non solo “affettiva” ma di un rapporto stabile e continuativo, ispirato al modello solidale che connota il matrimonio, che non necessariamente deve sfociare in una stabile coabitazione, purchè sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando il relativo l’onere probatorio sulla parte che neghi il diritto all’assegno (Cass. n. 3645 del 07/02/2023).

Questa Corte ha inoltre affermato, in tema di divorzio, che, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza “more uxorio”, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (Cass. n. 14151 del 04/05/2022).

6.1.- Questo orientamento, pienamente condivisibile, va qui ribadito, con le opportune precisazioni in ordine alle ragioni per le quali la convivenza può comportare la perdita dell’assegno di separazione.

In tema di assegno divorzile, infatti, è principio consolidato che qualora sia instaurata una stabile convivenza tra un terzo e l’ex coniuge, viene meno la componente assistenziale all’assegno divorzile, e se ne perde il correlativo diritto, ma non viene meno la componente compensativa, qualora l’interessato alleghi e dimostri non solo di essere privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, ma anche, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo dato alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge (Cass. sez. un. 32198 del 05/11/2021; Cass. n. 14256 del 05/05/2022). Di conseguenza qualora sia stato il coniuge divorziato ad intraprendere una nuova relazione familiare di fatto, non necessariamente ciò comporta il venire meno dell’assegno di divorzio, perchè, anche rimodulato nel quantum, il diritto può essere mantenuto.

Assegno di divorzio ed assegno di mantenimento sono però diversi quanto a natura presupposti e funzioni; e segnatamente, l’assegno di mantenimento che il coniuge privo di mezzi può ottenere in sede di separazione è privo della componente compensativa, consistendo nel diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario mantenimento, in mancanza di adeguati redditi propri (art. 156 c.c.).

Nel quadro normativo del codice civile la separazione dei coniugi ha funzione conservativa, pur se la legge sul divorzio le ha affiancato anche una funzione dissolutiva, tanto che questa Corte ha affermato che in tema di crisi familiare, in ragione dell’unica causa della crisi, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis c.p.c., comma 1 è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto anche con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Secondo l’id quod prelumque accidit, si osserva che la crisi separativa conduce, sia pure attraverso la disciplina di una graduazione e assottigliamento delle posizioni soggettive (diritti e doveri) dei coniugi, dal fatto separativo e con altissima probabilità all’esito divorzile successivo (Cass. n. 28727 del 16/10/2023).

La funzione conservativa della separazione, ad oggi, si invera prevalentemente nel riconoscimento del diritto del coniuge economicamente debole a mantenere lo stesso tenore di vita. In fase di separazione infatti alcuni doveri matrimoniali vengono meno (ad esempio l’obbligo di coabitazione) oppure si attenuano (ad esempio l’obbligo di fedeltà), ma è essenzialmente conservata la solidarietà economica, espressione del principio costituzionale di parità dei coniugi, che si esprime nel dovere di assistenza, in ragione della quale il coniuge cui non sia addebitabile la separazione ha diritto a mantenere lo stesso tenore di vita matrimoniale e quindi a ricevere un assegno di mantenimento dal coniuge economicamente più forte.

In termini, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. n. 12196 del 16/05/2017; conf. Cass. n. 16809 del 24/06/2019; Cass. n. 4327 del 10/02/2022).

Il diritto all’assegno di mantenimento è quindi fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale; il principio di parità richiede che tale sostegno sia reciproco, senza graduazioni o differenze, ma anche solidale, il che significa che chi ha maggiori risorse economiche deve condividerle con chi ne ha di meno. In ogni caso, il coniuge economicamente debole deve essere consapevole che la separazione è una condizione di possibile, anzi probabile, breve durata e che nella maggior parte dei casi non prelude a una riconciliazione bensì allo scioglimento del vincolo, in seguito al quale l’assegno di divorzio è riconosciuto -se riconosciuto- sulla base di diversi presupposti e prescindendo dal rapporto con il tenore di vita (Cass. civ. sez. un. 18287/2018).

Tuttavia, finchè perdura lo stato di separazione resta attiva la solidarietà matrimoniale, che si concreta nel dovere di assistenza tra coniugi, sebbene diversamente attuato che in costanza di convivenza, e cioè con una prestazione patrimoniale periodica, perchè i coniugi non vivono più insieme; ed è attivo anche – di conseguenza – il legame con il modello matrimoniale concretamente vissuto dai coniugi e cioè il pregresso tenore di vita. Ciò non significa che detto legame non possa essere spezzato per effetto di una scelta volontaria, ed in tal senso la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che durante la separazione personale, la formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica (Cass. n. 32871 del 19/12/2018).

7.- Il Collegio ritiene di aderire a tutt’oggi a questo orientamento, considerando che l’assegno di mantenimento è fondato – come sopra si diceva – sulla persistenza di uno dei doveri matrimoniali e non ha – a differenza dell’assegno di divorzio – componenti compensative.

Nel nostro ordinamento il modello di relazione familiare tra due adulti, sia essa fondata sul matrimonio, che sulla unione civile, che su un rapporto di fatto, è un modello monogamico: non è consentito contrarre matrimonio o unione civile se si è già vincolati da analogo legame, e neppure stipulare validi patti di convivenza se si è legati da altro vincolo matrimoniale o da altra convivenza regolata da patto (L. n. 76 del 2016, comma 57, art. 1, che prevede in tal caso la nullità insanabile del patto).

L’ordinamento non tollera la concorrenza di due vincoli solidali fondati sullo stesso tipo di relazione, e pertanto il coniuge separato non può al tempo stesso beneficiare dell’assistenza materiale del dell’altro coniuge e della assistenza materiale del (nuovo) convivente.

Quanto sopra esposto rende evidente l’errore della Corte d’appello di Lecce che non ha accertato, iuxta alligata et probata, e a fronte della contestazione della ricorrente sull’assenza di prova di una convivenza stabile, le caratteristiche del legame tra l’odierna ricorrente l’uomo di cui si parla nella relazione investigativa, e non ha spiegato le ragioni per cui, in relazione a quanto accertato, ha ritenuto di revocare l’assegno di mantenimento.

Di conseguenza, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, respinti gli altri, la sentenza in esame deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione per un nuovo esame attenendosi ai seguenti principi di diritto:

7.1.- “In tema di crisi familiare, se durante lo stato di separazione il coniuge avente diritto all’assegno di mantenimento instaura un rapporto di fatto con un nuovo partner, che si traduce in una stabile e continuativa convivenza, ovvero, in difetto di coabitazione, in un comune progetto di vita connotato dalla spontanea adozione dello stesso modello solidale che connota il matrimonio, caratterizzato da assistenza morale e materiale tra i due partner, viene meno l’obbligo di assistenza materiale da parte del coniuge separato e quindi il diritto all’assegno.

La prova dell’esistenza di un tale legame deve essere data dal coniuge gravato dall’obbligo di corrispondere assegno.

Dalla prova della stabilità e continuità della convivenza può presumersi, salvo prova contraria, che le risorse economiche siano state messe in comune; ma nel caso in cui difetti la coabitazione, la prova dovrà essere rigorosa, dovendosi dimostrare che, stante il comune progetto di vita, i partner si prestano assistenza morale e materiale”   >>.

Prendo atto. Solo che la stabilità data dal matrimonio non è equiparabile a quella data dalla convivenza, nemmeno dopo la legge 76/2016: per cui la seconda non giustifica il venir meno dell’assegno di mantenimento, come invece avviene per il primo.

L’ordinanza contiene poi utili precisazioni processuali sull’art. 710 cpc e in prticolare sulla distinzione tra domanda nuova in appello e fatto sopravvenuto dedotto in via di eccezione

Assegno divorzile e nuova convivenza del coniuge creditore

Cass.sez. 1 del 31.01.2023 n. 2840, rel. Conti:

<<In effetti, la Corte di appello si è pienamente uniformata ai principi espressi da questa Corte in ordine all’esistenza di una convivenza di fatto, valorizzando l’esistenza di uno stabile rapporto di convivenza collegato anche al coinvolgimento nel progetto comune di figli della coppia – cfr., infatti, Cass., S.U. n. 32198 del 2012 ove si è chiarito che quanto al contenuto della prova della convivenza, in virtù del dovere di assistenza reciproca, anche materiale, che scaturisce dalla convivenza di fatto (in base alla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), deve ritenersi che il coniuge onerato dell’obbligo di corrispondere l’assegno possa limitarsi a provare l’altrui costituzione di una nuova formazione sociale familiare stabile, e che non sia onerato del fornire anche la prova (assai complessa da reperire, per chi è estraneo alla nuova formazione familiare) di una effettiva contribuzione, di ciascuno dei conviventi, al menage familiare, perchè la stessa può presumersi, dovendo ricondursi e fondarsi sull’esistenza di obblighi di assistenza reciproci -. E nello stesso contesto le Sezioni Unite hanno aggiunto che ai fini del riconoscimento del carattere di stabilità della convivenza potrà farsi riferimento, come indica della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37, alla dichiarazione anagrafica ivi indicata, se effettuata, o ad altri indici di stabilità in concreto (quali, a titolo esemplificativo, l’esistenza di figli della nuova coppia, la coabitazione, l’avere conti correnti in comune, la contribuzione al menage familiare)>>.

Principio errato, anche perchè non sorge alcun dovere di mantenimento in caso di convivenza di fatto.    Erroneo è il rif. al co. 37 dell’art. 1 L. 76 del 2016 : qui l’ “assistenza materiale” è solo una situazione fattuale da cui la legge desume il ricorrere del concetto di “convivenza di fatto” (cioè è un sintagma descrittivo, non prescrittivo), alla quale poi applica la nuova disciplina . Quest’ultima però nulla dispone  circa diritti di mantenimento durante la convivenza, ma solo quello agli alimenti dopo la cessazione (co. 65)

Assegno divorzile e successiva convivenza di fatto : finalmente le sezioni unite

L’estensione alla convivenza della cessazione dell’assegno in caso di nuove nozze, disposta dall’art. 5/19 l. divorzio  è stata decisa dalla sezioni unite con sentenza 5 novembre 20121 n. 32198, rel. Rubino (leggila ad es. qui nel sito wolters kluwer)

Principi di diritto:

<<L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio>>.

Vi era stata rinviata dall’ord.  di Cass. n° 28995 del dicembre 2020.

La SC , accogliendo l’impostazione del collegio rimettente,  distingue dunque tra componente assistenziale e componente compensativa (secondo il noto insegnamento di Cass. sez. un. 18287/2018).

Quanto alla prima, la convivenza fa perdere l’assegno; quanto alla seconda, invece, no.

Il secondo punto ci pare corretto senz’altro; non altrettanto il primo.

Qui interessa solo la giustificazione del primo, che riporto:

<<23.2 – L’instaurazione di una nuova convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto a pretendere, finché permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l’ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l’adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale (come attualmente previsto dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), benché non privo di precarietà nel suo divenire, in quanto legato al perdurare della situazione di fatto.

23.3 – Ne consegue che, qualora sia stata fornita la prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza, il cui accertamento può intervenire sia nell’ambito dello stesso giudizio volto al riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, come nella specie, sia all’interno del giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio, può ritenersi che cessi, in conseguenza del nuovo progetto di vita intrapreso, che indubbiamente costituisce una cesura col passato, e nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche se il nuovo nucleo familiare di fatto abbia un tenore di vita che non sia minimamente paragonabile al precedente, e neppure a quello che sarebbe assicurato al convivente qualora potesse integrarlo con l’assegno divorzile>>.

Mi pare un errore.  La convivenza , anche se regolata dall’art. 1 commi 36 e segg. legge 76/2016, non attribuisce alcuna pretesa economica/di mantenimento: l’unica è quella dell’assegno alimentare dopo la fine della convivenza stessa, art. 1 c. 65.

Dunque far cadere l’assegno, in caso di nuovo rapporto affettivo convivenziale per la tranquillità economica da esso scaturente (in sostanza dice così),  non pare esattissimo …