Rilevanza delle tabelle milanesi nella determinazione del danno non patrimoniale e onere difensivo di richiederne l’applicazione

Cass. sez. III, Ord. 16/07/2024, n. 19.506, rel. Gianniti:

<<Invero: a) nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, non essendo rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziali (Cass. n. 12408/2011); b) il riferimento al criterio di liquidazione, predisposto dal Tribunale di Milano ed ampiamente diffuso sul territorio nazionale, garantisce tale uniformità di trattamento, in quanto questa Corte, in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce ad esso la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono (Cass. n. 28290/2011); c) il valore delle tabelle milanesi va inteso non già nel senso che le dette tabelle ed i loro adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativa di diritto, bensì nel senso che esse forniscono gli elementi per concretare il concetto elastico previsto nella norma dell’art. 1226 c.c. (norma questa che necessariamente viene in rilievo allorquando debba liquidarsi il danno non patrimoniale, che per definizione non si presta ad essere “provato nel suo preciso ammontare”).

In sostanza, come è stato rilevato (Cass. n. 4447/2014) “è come se questa Corte avesse riscontrato, come Le compete nella ricerca del significato di ogni elemento testuale di cui si compone una norma dell’ordinamento, che il concetto di valutazione equitativa previsto nell’art. 1226, una volta applicato al problema della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona, esige, per gli svolgimenti che il problema ha avuto nelle applicazioni pratiche, che si debba fare riferimento alle Tabelle Milanesi come basate su criteri che, per il fatto stesso che hanno svolto efficacia persuasiva di gran lunga prevalente nelle applicazioni giurisprudenziali, sono idonee a meglio individuare il concetto di liquidazione equitativa di quel danno”.

In definitiva, poiché dette Tabelle rilevano come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona e, dunque, per l’individuazione di un elemento di una norma giuridica, qual è quella dell’art. 1226 c.c., il motivo si può ritenere correttamente dedotto in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3, là dove prospetta in buona sostanza che la Corte territoriale avrebbe male applicato le Tabelle, perché così facendo denuncia un errore di violazione dell’art. 1226 c.c.

Tanto premesso e ribadito, occorre aggiungere che: a) ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante l’applicazione del criterio tabellare, il danneggiato ha l’onere di chiedere che la liquidazione avvenga in base alle tabelle, ma non anche quello di produrle in giudizio, in quanto esse, pur non costituendo fonte del diritto, integrano il diritto vivente nella determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto (Cass. n. 33005/2021); b) in assenza di diverse disposizioni di legge, il danno alla persona dev’essere liquidato sulla base delle regole vigenti al momento della liquidazione, e non già al momento del fatto illecito (Cass. n. 19229/2022).

Di tali principi di diritto non ha tenuto conto la corte territoriale che, nel liquidare il danno terminale (tanatologico) ha applicato le Tabelle di Milano del 2014, mentre avrebbe dovuto applicare quelle pubblicate nel 2018, anteriori di oltre due anni rispetto alla data di deliberazione della sentenza qui impugnata.

D’altronde il ricorrente ha correttamente specificato, come era suo onere fare, come, nel caso in esame, l’applicazione delle tabelle milanesi avrebbe generato un esito maggiormente adeguato e corretto, in relazione all’effettivo danno concretizzatosi, della quantificazione operata dal giudice d’appello. Invero, ha osservato che la corte territoriale, per il danno tanatologico, ha utilizzato un mixtum tra il danno biologico terminale, liquidato secondo i valori massimi delle Tabelle di Milano 2014, ed il danno catastrofale da lucida agonia, facendo riferimento ad un criterio equitativo puro, che è stato superato dalle Tabelle di Milano 2018, secondo le quali detto criterio può e deve essere esercitato mediante l’utilizzo della personalizzazione fino al 50%.

Occorre aggiungere che il giudice di merito può far ricorso alla prova presuntiva ex art. 2729 c.c. per fondare il proprio convincimento in punto di prova della sofferenza delle lesioni, ma sulle sensazioni interiori, sugli stati d’animo, sulla consapevolezza di dover morire non può adottarsi legittimamente alcun ragionamento presuntivo in difetto di riscontro di documentazione medica e/o di testi che sentirono esternazioni di tale tipo. In altri termini, come di recente precisato (Cass. n. 5753/2024), “una volta ammessa la distinzione tra la sofferenza avente base organica (il c.d. “dolore nocicettivo”) e la sofferenza non avente base organica (il c.d. “dolore psicosociale”), non vi è alcuna implicazione reciproca tra l’una e l’altra; dunque è corretta la decisione di merito che, dinanzi ad un caso di sopravvivenza quodam tempore, incrementi il risarcimento del danno biologico temporaneo per tenere conto dell’intensità e della gravità delle lesioni, ma non ravvisi un pregiudizio non patrimoniale da “lucida agonia”” >>.

Danno alla persona: sua determinazione e applicazione delle tabelle locali

Cass. 10.579 del 21.04.2021 , rel. Scoditti, Schembri + 1 c. Fondiaria SAI, interviene sul tema in oggetto.

Alcuni passaggi:

Sulla rilevanza delle tabelle milanesi: <<La censura ha ad oggetto l’applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano, in luogo di quelle del Tribunale di Roma, nonostante che il giudice di primo grado, applicando le tabelle romane, non avesse liquidato il danno in modo sproporzionato rispetto alla quantificazione che l’adozione delle tabelle milanesi avrebbe consentito. L’interesse a sollevare la questione di quale tabella applicare deriva naturalmente dalla circostanza che il giudice di appello, facendo applicazione delle tabelle milanesi, è pervenuto alla liquidazione di un importo inferiore rispetto a quello di primo grado. In linea generale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i parametri delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti; ne consegue l’incongruità della motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l’adozione dei parametri tratti dalle tabelle di Milano consenta di pervenire (Cass. 28 giugno 2018, n. 17018; 18 novembre 2014, n. 24473; 30 giugno 2011, n. 14402).>>, § 1.1

ma la questione psota dal motivo è, in realtà, più specifica e riguarda segnatamente il profilo del danno c.d. parentale. Ciò che deve allora essere valutato è <<se, con riferimento a tale tipologia di danno, le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma possano essere considerate recessive rispetto a quelle meneghine, per cui il parametro, ai fini della conformità a diritto della liquidazione, debba essere fornito dalle tabelle milanesi, rispetto alle quali quindi andrebbe apprezzata l’eventuale sproporzione della quantificazione del risarcimento. Per sciogliere lo specifico nodo del danno parentale è necessario un chiarimento più generale sulla problematica delle tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale>>, ivi.

Come affermato da Cass. 19 maggio 1999, n. 4852, <<l’utilizzo da parte del giudice delle tabelle redatte dall’ufficio giudiziario per la liquidazione del danno non patrimoniale trova fondamento nel potere del giudice di valutazione equitativa del danno previsto dall’art. 1226 c.c.. Quest’ultima norma, prefigurante l’equità giudiziale c.d. integrativa o correttiva e dunque ancora un giudizio di diritto e non di equità (fra le tante, da ultimo, Cass. 30 luglio 2020, n. 16344 e 22 febbraio 2018, n. 4310), per una parte risponde alla tecnica della fattispecie, quale collegamento di conseguenze giuridiche a determinati presupposti di fatto, per l’altra ha natura di clausola generale, cioè di formulazione elastica del comando giuridico che richiede di essere concretizzato in una norma individuale aderente alle circostanze del caso. Quale fattispecie, l’art. 1226 richiede sia che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, la prova del danno nel suo ammontare, sia che risulti assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno medesimo. Quale clausola generale, l’art. 1226 definisce il contenuto del potere del giudice nei termini di “valutazione equitativa”. Come precisato da Cass. 11 novembre 2019, n. 28990, si tratta di norma che non disciplina la fattispecie sostanziale (della responsabilità risarcitoria), ma l’esercizio del potere giudiziale (da cui, sempre per Cass. n. 28990 del 2019, l’applicazione della norma contenuta nel D.L. n. 158 del 2012, art. 3, comma 3, riprodotta nella L. n. 24 del 2017, art. 7, comma 4, – la quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base al D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, – anche nelle controversie relative a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonchè ai giudizi pendenti a tale data).>>, § 1.1.1.

La liquidazione del danno non patrimoniale mediante valutazione equitativa ha il carattere di norma del caso concreto <<non solo nella sua proiezione di giudicato (formale e sostanziale), ma anche, in senso lato, quale regola insuscettibile di estensione oltre le circostanze del caso perchè non corrisponde all’applicazione di una fattispecie generale e astratta che sia suscettibile di reiterazione in altri casi. La determinazione del danno biologico corrisponde alla concretizzazione nel particolare episodio di vita di una clausola generale. L’esigenza che sorge è quella dell’uniformità di trattamento nei giudizi aventi ad oggetto la domanda di risarcimento del danno biologico>>, ivi

Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, ha affermato che <<nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti uffici giudiziari. >, ivi

Si è così consolidato l’orientamento secondo cui <<l’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge (Cass. 21 novembre 2017, n. 27562). In questa chiave le tabelle milanesi hanno acquistato una sorta di efficacia para-normativa (Cass. 6 maggio 2020, n. 8532), in base alla quale, ai fini del rispetto del precetto dell’art. 1226, il giudice ha la possibilità di discostarsi dai valori tabellari a condizione che le specificità del caso concreto lo richiedano ed in sentenza sia fornita motivazione di tale scostamento (Cass. 20 ottobre 2020, n. 22859; 6 maggio 2020, n. 8508; 20 aprile 2017, n. 9950). In questo senso va compresa l’affermazione che le tabelle milanesi di liquidazione del danno non patrimoniale si sostanziano in regole integratrici del concetto di equità, atte quindi a circoscrivere la discrezionalità dell’organo giudicante, sicchè costituiscono un criterio guida e non una normativa di diritto>> , ivi.

Precisa la corte che <<non c’è la buona fede in astratto [ovvio], ma un comportamento conforme a buona fede, date determinate circostanze di fatto. Ciò significa che la clausola generale è un precetto in grado di operare solo se concretizzato alla luce delle circostanze del caso [ovvio]. La clausola generale non fissa il contenuto della regola giuridica, in via generale ed astratta, secondo la tecnica della norma a fattispecie, non regola cioè una classe di azioni o eventi, ma fissa per il giudice il criterio di identificazione della regola giuridica relativa al caso concreto. La disposizione che contempla una clausola generale non enuncia quindi una norma in senso proprio, ma un ideale di norma cui fare appello per l’identificazione della norma del caso concreto. Il comportamento secondo buona fede, come ogni altra clausola generale, fissa la disciplina ideale cui la regolazione giudiziale di ciascuno caso concreto deve tendere. La clausola generale può quindi essere definita come un ideale di norma cui parametrare la norma individuale che il giudice pone concretizzando il valore enunciato dalla norma elastica. La valutazione equitativa è un’idea-limite, per adoperare un’espressione emersa nella dottrina tedesca, cui tendere per determinare il danno quando questo non può essere provato nel suo preciso ammontare>>, § 1.1.2.

Sul concetto di tabella: << La tabella, elaborata per astrazione dalle sentenze di merito monitorate, rinvia in un’ultima istanza alla valutazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 e, alla stessa stregua dei Falgruppen, identifica regole uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale. Si tratta in definitiva della conversione della clausola generale in una pluralità di ipotesi tipizzate risultanti dalla standardizzazione della concretizzazione giudiziale della clausola di valutazione equitativa del danno. L’omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano ha comportato, secondo l’insegnamento di questa Corte, l’integrazione della violazione dell’art. 1226 c.c., per la corrispondenza del precipitato tabellare delle prassi giurisprudenziali alla corretta interpretazione della clausola di valutazione equitativa del danno. (…) Quando il caso concreto impone la presa di distanza rispetto alla standardizzazione tabellare dei precedenti della giurisprudenza, e si torni in modo diretto alla clausola generale, determinante diventa la motivazione, la quale non è qui solo forma dell’atto giurisdizionale imposta dalla Costituzione e dal codice processuale, ma è anche sostanza della decisione, perchè la valutazione equitativa del danno, nella sua componente valutativa, si identifica con gli argomenti che il giudice espone. Gli argomenti (così come quando si bilanciano principi costituzionali) coincidono con la valutazione. Valutare è argomentare. L’argomentazione è la procedura che mira ad assicurare il più esteso esame delle circostanze del caso. Una liquidazione del danno, oltre i valori massimi o minimi, priva di specifica motivazione, è pertanto violazione non solo della legge processuale, ma anche dell’art. 1226, perchè ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione>>, § 1.1.3.

Il problema della uniformità: <<La funzione di garanzia dell’uniformità delle decisioni svolta dalla tabella elaborata dall’ufficio giudiziario è affidata al sistema del punto variabile, per il grado di prevedibilità che tale tecnica offre pur con limitate possibilità di deroga, derivanti dalla eccezionalità del caso di specie e consentite dalla circostanza che, a differenza della tabella unica prevista dall’art. 138, si tratta non di una norma di diritto positivo, ma del diritto vivente riconosciuto da questa Corte>>, § 1.1.4.

Sulla ecessiva ampiezza delle fasce tabellari: <<Sotto questo aspetto non può sfuggire che la tabella meneghina, con riferimento al danno da perdita parentale, non segue la tecnica del punto, ma si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza (ad esempio a favore del coniuge è prevista nell’edizione 2021 delle tabelle un’oscillazione fra Euro 168.250,00 e Euro 336.500,00). L’individuazione di un così ampio differenziale costituisce esclusivamente una perimetrazione della clausola generale di valutazione equitativa del danno e non una forma di concretizzazione tipizzata quale è la tabella basata sul sistema del punto variabile. Resta ancora aperto il compito di concretizzazione giudiziale della clausola, della quale, nell’ambito di un range assai elevato, viene indicato soltanto un minimo ed un massimo. In definitiva si tratta ancora di una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità. La tabella, così concepita, non realizza in conclusione l’effetto di fattispecie che ad essa dovrebbe invece essere connaturato.

Garantisce invece uniformità e prevedibilità una tabella per la liquidazione del danno parentale basata sul sistema a punti, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione. In particolare, i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio “a punto variabile”; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi>>, ivi.

Sulla tabella per il danno parentale: <<Al riguardo va considerato che, coerentemente a quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, bisogna guardare al profilo dell’effettiva quantificazione del danno, a prescindere da quale sia la tabella adottata, e, nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe conseguito seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri sopra indicati, a quale sia la motivazione della decisione.

Resta infatti fermo che, ove la liquidazione del danno parentale sia stata effettuata non seguendo una tabella basata sul sistema a punti, l’onere di motivazione del giudice di merito, che non abbia fatto applicazione di una siffatta tabella, sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando la tabella in discorso, o comunque risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l’adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire. Il criterio per la valutazione delle decisioni adottate sulla base del precedente orientamento è dunque quello dell’assenza o presenza di sproporzione rispetto al danno che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti. Ove una tale sproporzione ricorra, il criterio di giudizio riposa nell’esame della motivazione della decisione>>, § 1.1.5.

In conclusiione, il principio di diritto: <<“al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonchè l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”>>

Commento di A. Palmieri d di R.Pardolesi-R.Simone in Foro it., 2021/6, coll. 2026 segg.