Cass. sez. 1 dell’ 8 marzo 2023 n. 6893, rel. Vannucci, circa la responsabilità per vioalzione del dovere di gestine conservativa ex art. 2449.1 cc (ante 2003) , ora art. 2486.1-2 cc.
Si trattava di una SRL.
Interessa spt la lett. c) (e magari le successive)
<< Nell’interpretare tale disciplina, la giurisprudenza di legittimità era (ed è ancora) costante nell’affermare che:
a) le “nuove operazioni” vietate agli amministratori dall’art. 2449 sono quelle non finalizzate alla liquidazione del patrimonio sociale (non necessarie dunque per portare a compimento attività già intraprese prima del verificarsi della causa di scioglimento) e determinanti la nascita di rapporti giuridici che vengono costituiti dagli amministratori, con assunzione di ulteriori vincoli per l’ente, e sono preordinati al conseguimento di nuovi utili d’impresa (in questo senso, cfr., fra le altre: Cass. n. 5190 del 1979: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 1035 del 1995; Cass. n. 9887 del 1995);
b) l’art. 2449 c.c. esprime infatti sul piano normativo la coerente conseguenza del fatto che, dopo il verificarsi della causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato, qual era in precedenza, alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto quegli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti d’impresa suscettibili di porre a rischio il diritto dei creditori e degli stessi soci (cfr. Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 2156 del 2015);
c) la violazione da parte degli amministratori del divieto di compiere “nuove operazioni” (da intendersi nel senso teste’ precisato) costituisce, nei confronti dei terzi, una fattispecie tipica di obbligazione ex lege che pur avendo natura extracontrattuale, non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043, né conseguentemente di risarcimento del danno; con la conseguenza che nessun rilievo ai fini probatori assume l’accertamento del danno né, sotto il profilo soggettivo, quello del dolo o della colpa, essendo sufficiente la consapevolezza da parte degli amministratori dell’evento comportante lo scioglimento della società (in questo senso, cfr.: Cass. n. 6431 del 1982; Cass. n. 5275 del 1997; Cass. n. 3694 del 2007); [piccoli errori: i) se è obbligazione, non può avere natura extyracontrattuale; ii) non è la qualità di organo di ente la ragione per cui è fatto illecito; iii) se è fatto illecito, opera invece l’art. 2043 in cui quello sub iudice rientrebbe; iv) però è resp. contrattuale e non aquiliana, in quanto violazione di un obbligo verso soggetto determinato/-abile]
d) l’azione ex art. 2449 c.c., comma 1, spettante al terzo creditore per il compimento da parte degli amministratori di nuove operazioni dopo la verificazione di un fatto che determina lo scioglimento della società si distingue poi, per la diversità della causa petendi e del petitum, sia dall’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) sia dall’azione dei creditori sociali prevista dall’art. 2394 c.c.: se, infatti, la violazione del divieto di compiere nuove operazioni, oltre a dar luogo a responsabilità diretta degli amministratori verso il terzo, può integrare il presupposto tanto dell’azione sociale di responsabilità (per violazione dei doveri imposti dalla legge) quanto dell’azione di responsabilità dei creditori sociali (per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale), qualora ad agire contro gli amministratori della società legalmente disciolta non sono, genericamente, i creditori della società, ma precisamente i creditori per le operazioni nuove compiute dopo lo scioglimento, essi vantano nei confronti degli amministratori un titolo diretto, fondato appunto sull’art. 2449 c.c., comma 1, (giustificato dalla non riferibilità allo scopo sociale degli atti, compiuti dalla società ormai disciolta), che, per espressa previsione della norma, si aggiunge alla perdurante responsabilità della società (in questo senso, cfr. Cass. n. 15770 del 2004); [interessante la distinzione rispetto alla vioalzione ex art. 2394: da approfondire]
e) quanto alla distribuzione dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio per l’accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali, ex art. 2449 c.c., deve fornire la prova soltanto della novità dell’operazione, dimostrando il compimento di atti negoziali in epoca successiva all’accadimento di un fatto che determini lo scioglimento della società, mentre spetta agli amministratori convenuti provare i fatti estintivi o modificativi del diritto azionato, mediante dimostrazione che quegli atti erano giustificati dalla finalità liquidatoria, in quanto non connessi alla normale attività produttiva dell’azienda, non comportanti un nuovo rischio d’impresa o necessari per portare a compimento attività già iniziate; nella valutazione di tale prova occorre, peraltro, considerare che gli amministratori non sono solo tenuti all’ordinario (e non anomalo) adempimento delle obbligazioni assunte in epoca antecedente allo scioglimento della società, ma hanno anche il potere-dovere di compiere, in epoca successiva al menzionato scioglimento, quegli atti negoziali di gestione della società necessari al fine di preservare l’integrità del relativo patrimonio (in questo senso, cfr.: Cass. n. 2156 del 2015)>>.
Infine, dopo aver osservato che la nuova disciplina sostanzialmente coincide con la previgente, così riassume:
<<Da quanto evidenziato risulta che la responsabilità degli amministratori verso il creditore di società a responsabilità limitata leso dal compimento da parte di costoro di atti gestori non funzionali alla conservazione del patrimonio sociale, dopo il verificarsi della causa di scioglimento di cui all’art. 2484 c.c., comma 1, n. 4), trova per intero la propria disciplina nel successivo art. 2486 (le disposizioni di cui all’art. 2476 c.c., in tema di responsabilità degli amministratori di tale tipo di società, non entrano quindi in giuoco ricorrendo tale ipotesi); è di natura extracontrattuale ma non può perciò solo essere ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c. in quanto – agendo gli amministratori nel compimento di tali operazioni non in proprio ma pur sempre in qualità di organi investiti della rappresentanza della società – non si verte in tema di “fatto illecito” nel senso voluto dal citato art. 2043; prevede, quale sanzione, il risarcimento del danno arrecato al creditore sociale>>.