La Corte Distrettuale californiana-divisione San Jose, 06.01.2021, nel caso n. 19-cv-04749-VKD, Divino Group e altri contro Google, esamina il caso del se un’asserita discriminazione tramite la piattaforma YouTube possa essere tutelata con ricorso al Primo Emendamento
Gli attori, esponenti della comunità LGBTQ+, si ritenevano discriminati dalla piattaforma di condivisione YouTube in due modalità: i) non gli era permessa la monetizzazione dei video caricati, che invece è normalmente ammessa da YouTube per i video di maggior successo come introito dalla relativa pubblicità; ii) erano immotivatamente stati qualificati video in <Restricted Mode> (vedi sub pagina 4/5 e pagina 2/3 sulle modalità di funzionamento di queste caratteristiche YouTube)
Gli attori dunque lamentavano la violazione del diritto di parola secondo il Primo Emendamento in relazione al § 1983 del Chapter 42 Us Code, che così recita <<every person who, under color of any statute, ordinance, regulation, custom, or usage, of any State or Territory or the District of Columbia, subjects, or causes to be subjected, any citizen of the United States or other person within the jurisdiction thereof to the deprivation of any rights, privileges, or immunities secured by the Constitution and laws, shall be liable to the party injured in an action at law, suit in equity, or other proper proceeding for redress, except that in any action brought against a judicial officer for an act or omission taken in such officer’s judicial capacity, injunctive relief shall not be granted unless a declaratory decree was violated or declaratory relief was unavailable. For the purposes of this section, any Act of Congress applicable exclusively to the District of Columbia shall be considered to be a statute of the District of Columbia>>
Le ragioni dell’invocazione del Primo Emendamento erano due.
Per la prima, YouTube costituisce uno state actor , quindi sottoposto ai vincoli del primo emendamento . Cio anche perché è la stessa Google/YouTube a dichiararsi Public forum for free Expression (p. 7).
Per la seconda ragione, Google , per il fatto di invocare <<the protections of a federal statute—Section 230 of the CDA—to unlawfully discriminate against plaintiffs and/ortheir content, defendants’ private conduct, becomes state action “endorsed” by the federal government>>, p. 8
Circa il primo punto, qui il più interessante, la Corte risponde che la domanda è espressamente ostacolata dal campo di applicazione del Primo Emendamento, così come delineato dalla nota sentenza Praeger University versus Google del 2020: le piattaforme non svolgono le tradizionali funzioni governative, pagina 8/9.
La seconda ragione non è molto chiara. Sembra di capire che, per il solo fatto che la legge (§ 230 CDA) permetta la censura e quindi la selezione dei post, l’avvalersi di tale norma costituisce esercizio di pubblici poteri, sicchè tornerebbe l’applicabilità del primo emendamento.
La Corte però rigetta anche questa ragione (agina 9/11): <<plaintiffs nevertheless argue that government action exists whereCongress permits selective censorship of particular speech by a private entity>>, p. 11. Il caso Denver Area del 1996, invocato dagli attori, è molto lontano dalla fattispecie sub iudice, ove manca un incarico di svolgere pubbliche funzioni (pagina 11).
A parte altre causae petendi (ad es. false association e false advertising ex Lanham Act, sub 2, p. 12), gli attori avevano anche chiesto la dichiarazione di incostituzionalità del § 230 CDA. Anche qui, però, la corte rigetta, seppur per ragioni processuali , p .17-18
(sentenza e link tratti dal blog di Eric Goldman, che ora aggiorna su nuova decisione con post 14 luglio 2023).